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L'omicidio È Il Nostro Mestiere (I casi di Turner Hahn e Frank Morales Libro 1) - B.R. Stateham

L'omicidio È Il Nostro Mestiere (I casi di Turner Hahn e Frank Morales Libro 1) - B.R. Stateham

Traduzione di Simona Leggero

L'omicidio È Il Nostro Mestiere (I casi di Turner Hahn e Frank Morales Libro 1) - B.R. Stateham

Estratto del libro

Esitai, mi voltai per guardarmi alle spalle, osservai il piccolo uomo seduto con le mani giunte poggiate sul tavolo da conferenza dall’aspetto malconcio. Solo un piccolo uomo. Nessuna mascella importante. Naso stretto. Capelli castani corti che si dirigevano verso la calvizie totale. Aspetto banale. Così semplice che cominciava a confondersi con la pittura bianca opaca del muro alle sue spalle. Avevo l’impressione che un altro paio di minuti seduto da solo sulla sedia di legno, nella stanza degli interrogatori, e sarebbe semplicemente svanito nel nulla.

            Come un cattivo sapore in bocca. O forse una cattiva idea. Svanisce lentamente.

            Chiusi la porta dietro di me e rimasi in piedi nel corridoio, guardai quell’incubo monolitico del mio compagno, sollevai un sopracciglio e aspettai. Si voltò, mi guardò, notò l’espressione che faccio quando qualcosa mi preoccupa e sogghignò apertamente.

            “Quello è il nostro assassino?” Frank grugnì, voltandosi a guardarmi con quei piccoli punti marroni al posto degli occhi, mentre si passava una mano nella zazzera di capelli color carota. “Quel tipo ha sparato quattro colpi con una 357 magnum nel petto di Rick Burns e poi altri due in faccia? Lui? Santo cielo. Mi stai prendendo in giro.”

            “Ha detto che è stato lui. Abbiamo trovato il corpo di Burns dove lui ha detto che l’avremmo trovato. Il sangue di Burns è sulle scarpe e sui risvolti dei pantaloni del tizio. Ovviamente le impronte sulla pistola sono le sue. Cos’altro vuoi?”

            “Voglio sapere chi ha ucciso Rick Burns”, ringhiò l’aspirante gorilla di montagna che mi ritrovavo come partner, infilandomi delicatamente un dito appuntito nel petto. “Proprio come te, amico. So che neanche tu credi alla sua storia.”

            Il problema era che Roscoe Tanner, contabile, aveva ammesso l’omicidio. Aveva detto di aver lottato con il suo capo per la pistola che sapeva che Burns portava sempre con sé e poi gli aveva sparato sei volte. Proprio così. Come se fosse una cosa di tutti i giorni. A bruciapelo. Due colpi di 357 in faccia. Hanno fatto esplodere la testa del tizio come una ciotola di gelatina lanciata in aria.

            Indirizzai un sorriso nella sua direzione e annuii. Ero d’accordo con Frank. Non c’era modo che un Roscoe Tanner, straordinario contabile di un pezzo grosso come Rick Burns, potesse prendere la pistola di Burns stesso, una Smith &Wesson 357 magnum, e poi riempire Burns di buchi mentre quello non faceva un bel niente per difendersi. Ma la scientifica aveva confermato la dinamica sulla scena del crimine. Questo è quello che Roscoe ha dichiarato. È quello che il procuratore distrettuale avrebbe usato nel momento in cui avrebbe messo le mani su questo caso.

            Se Roscoe fosse stato fortunato, avrebbe potuto avere l’ergastolo. Poteva non avere questa fortuna…

            “Allora, cosa vuoi fare?“ chiesi, spingendo le mani nelle tasche dei pantaloni e fissando il mio amico, occhi negli occhi.

            Io e Frank siamo alti circa un metro e ottanta. Lui è una cinquantina di chili più pesante e circa il doppio più forte. Sembra uno scarto dell’esperimento genetico di uno scienziato pazzo. D’altra parte, mi è stato detto che io assomiglio a un uomo morto. Un bell’uomo morto, intendiamoci. Ma pur sempre un uomo morto. A quanto pare, sono quasi l’immagine sputata di un qualche attore cinematografico morto degli anni Trenta. É vero. Era famoso. E no. Non farò nomi.

            Siamo una buona squadra come detective della omicidi. Io sembro un bel cadavere che solo un cinefilo ricorderebbe. Lui sembra un incubo biologico che nessuno vuole ricordare. Il mio nome è Turner Hahn. Il suo è Frank Morales. E negli ultimi dieci anni abbiamo lavorato nella sezione omicidi del South Side Precinct.

            “Penso che da Burns ci siano dei testimoni che tengono la bocca chiusa. Dovremmo andare a parlare con qualche impiegato. Sai… in modo persuasivo. Come solo noi sappiamo fare.”

            Quando un gigante dai capelli rossi delle dimensioni di Bigfoot ti fa sedere su una sedia e si china su di te così da vicino che il suo respiro ti fa correre un brivido lungo la nuca, e all’orecchio ti dice con voce burbera: “Parlaci della sparatoria”, tendi a parlargli della sparatoria. Non sto dicendo che Frank può essere intimidatorio quando vuole. Sto dicendo che, a meno che tu non conosca Frank bene come me, lui è sempre intimidatorio. La sua sola presenza fisica fa sì che gli atei diventino improvvisamente religiosi.

            Così, attraversammo la città nel tardo pomeriggio sotto un cielo che minacciava di aprirsi e scaricarci addosso un diluvio in stile biblico. Era quel periodo dell’anno. Fine primavera. Un’umidità così densa che potevi tagliare il vapore acqueo sospeso nell’aria con una lama. Torreggianti celle di tuono bianco/grigio che si arrampicano visibilmente per la stratosfera in un’attesa minacciosa. Il rombo del tuono che ti parla costantemente in lontananza. Il tipo di tempo in cui l’elettricità statica nell’aria fa sì che le casalinghe dall’aspetto da topo prendano un fucile nell’armadio della camera da letto, o forse una mannaia da macellaio dal set di coltelli del bancone della cucina e facciano un po’ di pulizia in casa. Quel tipo di tempo.

            Burns possedeva un locale chiamato Valentino’s Grotto. Era una discoteca per i giovani sotto i trent’anni, quelli che avevano appena iniziato a fare bei soldi. Giù nel quartiere dei magazzini. Il piano terra del vecchio magazzino era ricoperto di piastrelle nere. I piccoli tavoli e le sedie che circondavano la pista da ballo erano di colore bianco immacolato. La parete più lontana del magazzino era tutta altoparlanti giganteschi e una pedana rialzata dove, apparentemente, i DJ facevano la loro magia ogni notte. Ci avevano detto, quelli che conoscevano il posto, che era una fiorente vacca da mungere. Dal giovedì alla domenica sera il posto era pieno di gente. I soldi, guadagnati sia legalmente che illegalmente, cadevano a palate nelle tasche di Burns.

            Tutti erano d’accordo, Rick Burns era un bubbone incancrenito sul culo dell’umanità. Nessuno si lamentava della sua morte. Nessuno era sorpreso dal modo in cui la sua carta di credito era stata cancellata. Ma cosa interessante… nessuno aveva creduto nemmeno per un momento che Roscoe Tanner, contabile e dipendente di fiducia di Rick Burns, avesse il coraggio di scacciare una mosca dai suoi libri contabili, tanto meno di portargli via la pistola e sparargli sei volte al petto e alla testa.

            Rick Burns era stato brutalmente assassinato. Ma non era stato Roscoe Tanner. O, almeno, questo è quello che ci hanno detto le circa dieci persone con cui abbiamo parlato nel locale vuoto. Roscoe era un ragazzo troppo gentile per fare del male a qualcuno.

            Eravamo nell’ufficio privato di Burns, dove era stato commesso l’omicidio, e ci fissavamo. Avevamo appena interrogato tutti quelli che erano lì la notte in cui Burns fu ucciso. Tutti avevano un alibi. Nessuno credeva che Roscoe fosse un assassino. Ovviamente, era stato incastrato. Da chi, nessuno poteva dirlo. La lista dei potenziali sospetti, dicevano, comprendeva quasi tutta la città.

            Come ho detto. Rick Burns non era un bravo ragazzo.

            “Cosa abbiamo in questo momento che provi o confuti la colpevolezza o l’innocenza del nostro Roscoe”, dissi, appoggiandomi alla porta dell’ufficio e sogghignando con disinvoltura al mio partner.

            “Uno”, annuì Frank, sollevando una mano e un dito per iniziare la discussione. “Abbiamo l’arma del delitto, la 357 di Burns, ancora calda e con le impronte di Roscoe dappertutto. Se non è stato il piccoletto a sparare, chiunque abbia premuto il grilletto è stato abbastanza furbo e freddo da cancellare le impronte dalla pistola e poi, in qualche modo, ha fatto sì che il nostro ometto prendesse la pistola e la impugnasse abbastanza saldamente da aggiungere le sue impronte.”

            “Due”, continuai, sollevando una mano con due dita alzate in aria. “Tutti sapevano che Burns è stato qui in ufficio tutta la notte. Ma nessuno ha sentito la sparatoria a causa della dannata musica che c’era fuori. Era così forte che tutti sono tornati a casa completamente sordi.”

            “Tre”, aggiunse Frank. “L’unica persona che qualcuno ha visto entrare o uscire dall’ufficio era Roscoe Tanner. L’unico.”

            “Nessun altro”, dissi, scuotendo la testa e sorridendo. “Ma c’è un’altra porta che conduce all’ufficio. Esce in un vicolo dietro l’edificio. Qualcuno potrebbe essere entrato da lì e aver steso il nostro amato defunto.”

Ci girammo contemporaneamente e fissammo per un momento o due la seconda entrata. Poi decidemmo di controllare. La porta conduceva a una rampa di scale che portava giù nel vicolo. Il vicolo sarebbe stato, all’ora della sparatoria, nero come una miniera di carbone chiusa della Pennsylvania a mezzanotte. Ma, curiosamente, trovammo qualcosa. Un piccolo pezzo di plastica scintillante che giaceva sul cemento proprio accanto al gradino più basso della rampa di scale. Un rossetto.

            Restammo nel vicolo a guardare il tubetto di rossetto. Fu Frank a rompere il silenzio.

            “Cosa spinge un omino senza volto ad ammettere di aver ucciso un uomo con la sua stessa pistola e a non darci un movente?”

            “Una donna”, dissi con leggerezza.

            “È sempre una donna”, disse Frank mentre guardavamo il rossetto che giaceva accanto ai gradini.

            “Questo, amico mio, è un atteggiamento molto sessista. Dovresti essere in preda a una profonda angoscia per aver detto una cosa del genere”, dissi, guardando Frank e sorridendo.

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