A Porte Chiuse
A Porte Chiuse - Estratto del libro
Capitolo 1
Visite Mattutine
“Albert, il cane.”
“Eh, che cosa?”, fu la risposta soffocata da parte di un assonnato Albert Norris, il capo nascosto sotto il cuscino, mentre i primi raggi del sole invadevano la camera da letto attraverso le tende della finestra.
“Ho detto: il cane ha bisogno di uscire. Sta grattando la porta.”
Norris emerse da sotto il cuscino, i capelli arruffati, reduci da una notte agitata. Guardò la moglie mentre lei gli affondava il gomito nelle costole.
“Va bene, Betty, adesso vado”, rispose, mentre lentamente si liberava da quel tepore, i piedi che scivolavano come per magia nelle pantofole posizionate al loro solito posto accanto al letto. Norris arrancò faticosamente per la stanza, fermandosi solo per prendere la vestaglia, un regalo di Natale che sua moglie gli aveva fatto l’anno precedente, per poi aprire la porta, permettendo l’ingresso di un terrier nero trasandato di parentela indeterminata, che subito bypassò Norris e saltò sul letto, soffocando il viso della sua padrona con leccate affettuose, mentre scodinzolava forsennatamente per l’eccitazione.
“Bert!”, gridò al marito, che rimase a guardare l’irruzione quotidiana di Billy con un enorme sorriso sul volto.
“Sì, va bene, ho capito. Billy, vieni qui, piccolo farabutto”, disse, ed il terrier balzò giù dal letto e seguì Norris, che scese le scale per andare ad aprire la porta sul retro della loro villetta a schiera e lasciare che il cane vagasse liberamente nel piccolo giardino.
Albert Norris trascorse i successivi cinque minuti a preparare il tè e, lasciando Billy a divertirsi in giardino, tornò in camera da letto con due tazze fumanti, una per sé e una per sua moglie.
“Un giorno di questi, Bert, quel cane forse imparerà a non saltare sul letto la mattina. Sono sicura che tu potresti incoraggiarlo in questo”.
“Oh, andiamo! Davvero ti aspetti che possa cambiare? Ce l’abbiamo da cinque anni, ed è poco probabile che smetta di dimostrare l’affetto che ha per te dopo tutto questo tempo, non credi?”
“Credo tu abbia ragione”, rispose Betty Norris, con un sorriso. “Il tè è ottimo, Bert, come sempre”.
“È una delle mie tante abilità, amore mio”, rispose lui, con voce morbida e suadente mentre allungava una mano verso i capelli di lei, accarezzandole i lunghi riccioli ramati e toccandola dolcemente dietro l’orecchio.
“Basta così, ora, Bert Norris. Devi andare al lavoro, ragazzo mio. Dimentica tutte queste smancerie e tienile da parte per dopo”.
“Bene. Allora farai meglio ad alzarti dal letto e pensare alla mia colazione, che ne dici? O vuoi che vada al lavoro a stomaco vuoto?”
“Bert Norris, sei uno schiavista”, disse lei, ridendo.
Betty diede un buffetto a suo marito e finì il tè, mettendo poi tazza e piattino sul vassoio che Bert aveva usato per trasportare le bevande al piano di sopra. Cinque minuti più tardi, era in cucina a bollire due uova e imburrare due grosse fette di pane per la colazione del marito. Prima che le uova fossero pronte, la loro routine mattutina venne interrotta da un insistente bussare alla porta d’ingresso.
“Vado io”, disse Norris, uscendo rapidamente dalla cucina ed attraversando lo stretto corridoio, fermandosi un attimo per girare la chiave ed infine aprire il portone, che rivelò un giovane agente di polizia apparentemente agitato, subito sull’attenti non appena Norris aprì la porta.
“Agente Fry”, disse Norris, riconoscendo il ragazzo come uno degli agenti della sua stazione di polizia, sebbene non ci avesse mai lavorato a stretto contatto. “Cosa accidenti ti porta a casa mia a quest’ora del mattino?”
“Ispettore Norris”, disse Fry, “Sono spiacente di disturbarla, ma è stato il Commissario Madden a mandarmi da lei. Beh, in verità il commissario ha dato ordine al sergente Wilson, e poi il sergente Wilson ha mandato me, ma…”
“Non farfugliare, Fry. Ricomponiti e raccontami cos’è successo. Sembra qualcosa di serio a giudicare dalla tua faccia”.
“Sì, signore! Sono spiacente, signore! Ad ogni modo, il sergente Wilson ha detto che dovevo venire e prenderla immediatamente. Si è letteralmente scatenato l'inferno, signore. Lei sa bene che l’assassino di Whitechapel ha colpito ancora la scorsa notte. Beh la notte prima di ieri sera, in realtà, e…”
“Hey, calmati giovanotto! Non mi occupo io di quel caso. Pensavo se ne occupasse l’ispettore Abberline”.
“Sì, lo so, signore, ma non si tratta di questo”.
“E allora, perché ne hai fatto menzione? Di cosa si tratta, Fry?”
“Quella bestia ha ucciso di nuovo nelle prime ore di ieri mattina, come lei ben sa, e le mutilazioni questa volta erano molto peggio delle altre, signore, voglio dire peggio di quelle inferte a Tabram e Nichols, e non è rimasto disponibile neanche un agente, giù alla centrale. Sono stati impiegati tutti nella ricerca, come ha detto il sergente Wilson. Ecco perché c’è bisogno di lei per l’altro caso”.
“Quale altro caso?”, chiese Norris, con lo sguardo diventato improvvisamente duro e professionale, mentre aspettava che Fry arrivasse al vero punto della questione.
“C'è stato un omicidio alla nuova Metropolitana, signore. Mi è stato detto di dirle che si tratta di una donna, accoltellata e lasciata in una delle carrozze. Il commissario vuole che lei si occupi del caso. Qualcuno è stato inviato a prendere anche il sergente Hillman e portarlo alla stazione”.
Dylan Hillman era il sergente agli ordini di Norris, l’unico uomo al mondo di cui aveva una fiducia assoluta. Hillman e Norris lavoravano come partner da cinque anni, ed il legame tra i due cresceva sempre di più ogni giorno che passava. Almeno, pensò Norris, non era l’unico ad esser stato convocato in stazione alle prime luci dell’alba. Poteva solo immaginare il cipiglio sul volto di Hillman alla vista di un poliziotto che bussava alla sua porta ad un’ora così assurda.
“Suppongo di non aver tempo per fare colazione, vero, Fry?”, chiese Norris, sapendo già la risposta. Se Madden l’aveva mandato a cercare, voleva dire che c’era bisogno di lui subito, non dopo aver gustato una piacevole colazione con la moglie.
“Il sergente mi ha detto di riferirle cosa ha detto il commissario, ‘ora vuol dire ora’, se mi permette, signore.”
“Non ti preoccupare, agente. Non ho l’abitudine di sparare ai messaggeri. Dammi solo un minuto per dire a mia moglie che starò fuori per un bel po’”.
Norris chiuse la porta. L’agente Fry rimase in attesa, cominciando ad agitarsi quando quel minuto si trasformò in due minuti, poi tre e poi quattro. Di sicuro sarebbe stato in un mare di guai col sergente se l’Ispettore non fosse arrivato alla stazione in tempi rapidissimi. Dopo tutto, era stato il commissario stesso che lo aveva convocato.
Passarono dieci minuti prima che Norris finalmente si decidesse a riaprire la porta d’ingresso. Betty aveva avvolto due fette di pane imburrato in un foglio di carta oleata, che Norris portava sotto il braccio sinistro, e aveva fatto in modo che lui mangiasse almeno due uova sode prima di tornare da Fry. Purtroppo, si erano raffreddate nel frattempo che lui era rimasto alla porta a parlare con l’agente di polizia, ma almeno sarebbero state una fonte di sostentamento per il marito che, come aveva ormai imparato da esperienze precedenti, sarebbe stato impegnato per lungo tempo durante le prime fasi di un’indagine per omicidio. Norris baciò sua moglie sulla guancia e accarezzò il cane, il quale era tornato dal suo giro in giardino per scroccare tutti gli avanzi dal tavolo della colazione, ed era ora pronto ad affrontare qualunque cosa la giornata avesse avuto in serbo per lui.
“Bene, Agente Fry, possiamo andare”, disse un allegro Albert Norris, una volta raggiunto il giovane poliziotto. Non aveva avuto il tempo di radersi, e indossava una giacca un po’ sgualcita, ma, mentre camminava a passo svelto accanto a lui, Fry sentiva che l’ispettore Norris, che conosceva solo di fama, non era sicuramente un uomo che avrebbe osato contrariare. Sapeva che Norris aveva un ‘passato’, ma cosa effettivamente era successo per lasciare l’ispettore in un una sorta di limbo circa la sua carriera, nessuno alla stazione di polizia lo sapeva o era disposto a parlarne. Tutto quello che Fry sapeva, mentre camminava con lo sguardo in direzione dell’ispettore, era che l’uomo emanava una certa aria di autorità, uno che non ammetteva repliche da un semplice agente di polizia come lui. Poteva risultare difficile andare d’accordo con Norris. Tutto ciò che Fry aveva imparato sul suo conto gli servì per prendere la decisione consapevole di non mettersi mai contro di lui, se poteva evitarlo.
I due uomini si lasciarono subito alle spalle la periferia pulita formata da villette a schiera che l’ispettore aveva scelto come suo luogo di residenza, e si ritrovarono a camminare lungo una via già affollata, con gli omnibus mattutini che sferragliavano rumorosamente lungo le strade acciottolate, e i cavalli che sbuffavano mentre trasportavano i primi operai della mattina alle loro destinazioni. Vennero sorpassati da tre di quegli omnibus, ognuno stipato fino all’inverosimile di passeggeri. Chiaramente, l’avvento della nuova ferrovia sotterranea non aveva portato via del tutto gli affari all’azienda di omnibus, come invece ci si aspettava. C’erano ancora molti cittadini londinesi che avevano delle riserve sulla nuova ferrovia, preferendo viaggiare in superficie piuttosto che affrontare l’oscurità ed i tunnel del nuovo sistema di trasporto. Anche se la maggior parte della rete ferroviaria viaggiava in superficie, era ancora considerata troppo rischiosa ed evitata come la peste, perché si pensava che la morte avrebbe colpito tutti coloro che fossero stati abbastanza incoscienti da azzardare un viaggio lungo le sue rotaie.
Gli ambulanti erano già al lavoro mettendo in piedi le loro bancarelle, un venditore di caldarroste accendeva il suo braciere, una fiammiferaia preparava la pece, oltre ad ogni altro tipo di attività utile per avviare gli affari mattutini e guadagnarsi il pane. Per molti, quella era una vita molto meschina da vivere, ma migliaia di londinesi erano finiti per rientrare nella più bassa categoria della società, quella dei poveri, appunto.
Quindici minuti dopo aver lasciato l’abitazione dell’ispettore in Allardyce Street, la mattina del 9 Settembre 1888, ventiquattr’ore dopo che l’uomo in seguito etichettato come Jack Lo Squartatore aveva ucciso e mutilato la sfortunata Annie Chapman, Norris arrivò alla stazione di polizia di New Street, dove iniziò immediatamente il suo lavoro nei cosiddetti omicidi della metropolitana, come vennero ribattezzati.
Capitolo 2
Un Cadavere ad Aldgate
Più o meno quattro ore prima che l’agente Fry bussasse alla porta di Albert Norris, e poco dopo le 2 del mattino, il ventiquattrenne Arthur Ward, dipendente della Ferrovia Metropolitana di Londra, iniziò i controlli di routine sui vagoni dell’ultimo treno della notte arrivato al capolinea della stazione di Aldgate. Il lavoro di Ward consisteva nell’aprire tutte le porte dei vagoni ed assicurarsi che tutti i passeggeri avessero lasciato il treno, e nel controllare che nessun oggetto fosse stato smarrito – nel qual caso, sarebbe stata sua premura consegnarlo all’ufficio oggetti smarriti. Ad un’ora così tarda, non era insolito che qualche gozzovigliatore notturno si addormentasse al suo posto o si dimenticasse di scendere alla sua fermata, e che quindi proseguisse fino al capolinea dove Arthur Ward, o un suo collega, lo avrebbe gentilmente svegliato e trascinato fuori dalla stazione.
Ogni vagone poteva trasportare un massimo di dieci persone, su sedili un po’ scomodi e coperti di un tessuto che aggiungeva poco in termini di comfort per chi viaggiava a bordo dell’ultima innovazione in fatto di trasporti cittadini. Arrivato al terzo vagone, Ward aprì la portiera e vide subito la figura reclinata di una giovane donna in un angolo, con la testa poggiata al finestrino. Indossava un vestito verde, con uno scialle marrone che le copriva le spalle. Le sue scarpe sembravano nuove, all’apparenza, e lei mostrava tutti i segni distintivi di una rispettabile giovane donna che lavora, forse un’infermiera, o una levatrice, pensò, di ritorno a casa dopo il turno di notte in ospedale. Ward sapeva che non tutte le infermiere vivevano nei locali messi a disposizione dagli ospedali della città. Sua cugina Maude, ad esempio, era infermiera a Charing Cross, e ‘viveva fuori’, a casa dei suoi genitori.
“Fine della corsa, mia cara”, disse Ward a voce alta, con l’intenzione di svegliare la donna e vederla andare per la sua strada. “Siamo ad Aldgate, signora”, provò lui di nuovo. “Il treno non continua, questo è il capolinea”.
Quando i suoi ripetuti solleciti non ottennero risposta dalla donna apparentemente addormentata, Arthur Ward entrò rapidamente nello scompartimento e le mise una mano sulla spalla, scuotendola con delicatezza.
“Per favore, Miss, è molto tardi e lei dovrebbe essere a casa, adesso”, disse. Non ottenendo risposta, scosse la donna più energicamente. E questa volta rimase scioccato nel vedere che, invece di svegliarsi e magari rimproverarlo per essersi preso la libertà di toccarla mentre lei stava dormendo, la donna scivolò lentamente dalla sua posizione rovinando per terra.
Fino a quel momento della sua giovane vita, Arthur Ward non aveva mai visto o non si era mai trovato a distanza così ravvicinata con un corpo morto, eppure, mentre fissava la figura distesa ai suoi piedi sul pavimento della carrozza, non aveva alcun dubbio che la giovane donna fosse a tutti gli effetti deceduta. Gli occhi sbarrati e vuoti, e l’aspetto pallido del suo viso erano indizi inequivocabili, e se mai avesse avuto bisogno di un’ulteriore conferma, questa proveniva dalla piccola ma significativa macchia rossa, quasi al centro del petto, apparsa alla vista nel momento in cui il suo scialle scivolò sul pavimento con il movimento del suo corpo. Arthur riconobbe il sangue appena lo vide; aveva assistito a troppi incidenti tra gli operai della ferrovia per non riconoscere cosa aveva davanti. Ma stranamente, il suo primo pensiero fu che doveva esserci più sangue, se quella che stava guardando era una ferita mortale, ma in fondo non era un medico.
Si accorse di stare tremando. Forse era lo shock, pensò, e anche se sapeva bene che non poteva rimanere lì a guardare il corpo di quella donna per tutta la notte, si sentiva le gambe come un pezzo di piombo. Doveva chiedere aiuto, segnalare questa macabra scoperta e, con uno sforzo sovrumano, Arthur Ward costrinse le sue gambe a muoversi, e si diresse lungo la piattaforma verso l’ufficio del capostazione. Quest’ultimo, Edgar Rowe, aveva da tempo lasciato l’ufficio, occupato al momento dal responsabile notturno, Maurice Belton. Anche Belton si stava preparando a staccare, non appena Arthur Ward gli avesse confermato che tutte le carrozze erano in ordine e che si poteva chiudere la stazione fino al turno di giorno, che sarebbe iniziato tra due ore.
Belton sorrise quando il giovane Arthur entrò nell’ufficio, ma il sorriso si spense immediatamente quando vide lo sguardo sconvolto ed il volto pallido del giovane.
“Arthur, cosa c’è che non va? Sembra che tu abbia visto un fantasma”.
“Molto peggio, signor Belton, ho trovato un corpo!”, gridò Arthur.
“Un corpo? Che tipo di corpo?”, chiese Belton, rendendosi conto della stupidità della domanda nel momento stesso in cui la formulava.
“Un corpo morto, signor Belton. Una donna, giovane, in una delle carrozze. È davvero orribile. Ha una macchia di sangue sul petto. Credo le abbiano sparato”.
“Ve bene, Arthur, adesso calmati, da bravo. Meglio che mi mostri questo tuo corpo prima che saltiamo a conclusioni affrettate”.
“Ah, quel corpo non è mio, signor Belton, questo è poco ma sicuro”.
“Ok, va bene, comunque sia è meglio se me lo mostri”, disse Belton, cercando di estrarre la sua voluminosa mole da dietro la scrivania per avviarsi con Arthur Ward verso il luogo in cui il corpo della giovane donna giaceva disteso.
Dopo la conferma di quello che Arthur Ward già sapeva – in altre parole, che la donna era morta oltre ogni ragionevole dubbio – Belton inviò il ragazzo a cercare un poliziotto o, nel caso in cui non ne avesse trovato uno, gli ordinò di recarsi alla stazione di polizia più vicina e tornare con un agente.
Lieto di essere finalmente fuori dall’atmosfera claustrofobica della stazione metropolitana, Arthur Ward trasse una lunga boccata di aria fresca una volta aver raggiunto la strada all’esterno della stazione di Aldgate. Era ben contento di sfuggire all’odore penetrante che aleggiava continuamente sul suo posto di lavoro; una miscela di fumo, vapore, polvere di carbone e altri elementi nocivi sospesi come una cappa su ogni centimetro della ferrovia. Fortuna volle che, nel giro di due minuti dopo aver lasciato la stazione, si ritrovò faccia a faccia con un agente di polizia in uniforme, ed il giovane spiattellò subito la sua storia.
“C’è stato un omicidio, sul treno, alla stazione”, iniziò a balbettare di fronte al poliziotto alquanto sorpreso che, vedendo l’uomo in stato di agitazione, lo trattenne per un braccio prima di replicare.
“Allora”, disse in tono rassicurante, “di quale omicidio stai parlando? A quale stazione ti riferisci? Dammi dei fatti, amico, e risolveremo subito questa faccenda”.
“La stazione di Aldgate, sì, certamente, sono spiacente. Ho trovato il corpo in una delle carrozze. È di una giovane donna, con una grossa ferita sul petto”.
“C’è qualcuno con lei adesso?”, chiese l’agente.
“Sì, il signor Belton, il responsabile notturno della stazione”.
“Bene, ora ecco cosa voglio tu faccia, giovanotto. Prima di tutto, come ti chiami?”
“Ward, signore. Arthur Ward”.
“Bene, Arthur. Voglio che tu corra alla stazione di polizia di New Street, non è molto lontana da qui. La conosci?”
Arthur annuì.
“Bene. Dì al sergente in servizio che l’agente Wilkinson ti ha mandato per riferirgli dell’omicidio di una giovane donna. Forniscigli tutti i dettagli che puoi, e lui manderà qualcuno ad Aldgate appena possibile. Io rimango qui ad aspettare”.
“Sì, ok. Sarò velocissimo”, rispose Arthur.
L’agente di polizia Bob Wilkinson, quindi, si diresse velocemente verso Aldgate, dove trovò Maurice Belton fermo sulla banchina, fuori dalla carrozza che Wilkinson immaginò contenesse il corpo della ragazza. Infatti, a Belton era bastato quel poco che aveva visto del cadavere, e rimase solo brevemente col corpo dopo aver spedito Ward a cercare aiuto. Giustamente, poi, aveva pensato che meno fosse rimasto sulla scena del crimine, e meno possibilità c’erano di compromettere le eventuali prove che l’assassino poteva aver lasciato.
“E’ lei il signor Belton?”
“Maurice Belton, sì, agente”.
“Il corpo dov’è?”
“Lì dentro”, disse Belton, indicando la carrozza.
Wilkinson oltrepassò il responsabile del turno di notte ed entrò sulla scena del crimine, e nel giro di pochi minuti venne raggiunto da un sergente in uniforme ed un detective in borghese, accompagnati da Arthur Ward, che rimase ad aspettare sulla banchina insieme a Belton. Il detective Dove prese il comando, e fu lui che, poco dopo, rimandò Wilkinson alla stazione con l’istruzione di riportare l’accaduto all’ufficiale più alto in carica.
Persino Dove ignorava quanto in alto il suo messaggio sarebbe arrivato in un così breve lasso di tempo, o che, in poche ore, sarebbe stato raggiunto sulla scena nientemeno che dall’ispettore Albert Norris, convocato direttamente da casa e che subito diede alcune istruzioni piuttosto insolite per quanto riguarda l’indagine che gli veniva affidata.
Intanto, il detective Dove ed il sergente Lee fecero in modo di mettere in sicurezza la scena del crimine, e l’agente Wilkinson fu messo al lavoro raccogliendo le testimonianze preliminari di Arthur Ward e Maurice Belton, sebbene Dove fosse certo che chiunque fosse arrivato a prendere in mano il caso avrebbe voluto parlare direttamente con entrambi e, per questa ragione, il sergente proibì ai due di lasciare la stazione fino all’arrivo dell’ispettore.
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