Giorni Difficili (I Western Di Reuben Cole Libro 3) - Stuart G. Yates
Traduzione di Marcella Di Cintio
Giorni Difficili (I Western Di Reuben Cole Libro 3) - Stuart G. Yates
Estratto del libro
APACHE
Li hanno portati dentro, quattro uomini, legati, con la testa china mentre attraversavano i cancelli del forte. Apache. Nessuno si voltò né reagì ai molti commenti derisori e agli sberleffi dei civili in fila per guardarli. Alcuni dei cavalleggeri che formavano la scorta dei prigionieri ridevano. Cole lanciò un’occhiata tagliente all’ufficiale in carica. “Faccia stare zitti i suoi uomini, tenente!”
Il giovane si voltò, con vergogna, e abbaiò l’ordine ai suoi uomini. Scontenti, i soldati caddero a poco a poco nel silenzio, ma i loro sguardi di scherno continuarono.
Cavalcando a fianco di Cole, il giovane soldato che era andato nelle pianure per rintracciare gli indiani dall’aspetto eterogeneo, si chinò più vicino. “Signor Cole, non sono sicuro che dovremmo inimicarci qualcuno dei miei colleghi soldati. Se accenniamo a una qualche simpatia per questi selvaggi, è probabile che più tardi mi imbatterò in qualche malumore nella baracca.”
“Simpatia?” Gli occhi di Cole divennero scuri. “Questi ragazzi sono stati strappati dalle loro case e costretti a marciare attraverso miglia di boscaglia verso una riserva che non assomiglia a nulla di ciò che hanno conosciuto. Non li biasimo per essere evasi. Ma sparare alle guardie, quello è stato un errore.”
“Ed è per questo che saranno impiccati.”
“Credo di sì, se riescono a provarlo.”
“Accadrà sicuramente.“
“A meno che l’odio e il sospetto non si mettano in mezzo. Dobbiamo essere sicuri, perché se non lo siamo, potrebbero esserci dei problemi. Ci sono ancora bande vaganti di Kiowa e Comanche là fuori e non voglio pensare a cosa potrebbero fare se agissimo troppo in fretta. Inoltre”, Cole si girò sulla sella e guardò i tre Apache che camminavano a piedi nudi sul terreno, “non li abbiamo presi tutti. Ce ne sono almeno altri due là fuori.”
“Compreso il loro leader, forse?”
Grugnendo, Cole studiò il giovane soldato. “Hai fatto un bel lavoro là fuori, figliolo. Sono impressionato. Come hai detto che ti chiami?”
“Vance”, fece un saluto involontario. “Vesto l’uniforme da poco, signor Cole. Sto ancora facendo esperienza sul campo, se la vogliamo mettere così.”
“Beh, hai imparato molto in questi ultimi giorni, questo è certo. La prossima volta che ci chiameranno per rintracciare qualcuno, chiederò di te.”
Arrossendo, Vance distolse rapidamente lo sguardo, ma non riuscì a sopprimere un sorriso. “Caspita, che complimento. Grazie, signor Cole.”
“Sembri istruito, figliolo. Mi chiedo perché un giovane istruito voglia una vita nella Cavalleria degli Stati Uniti, specialmente in questa terra dimenticata da Dio.”
“Un sacco di ragioni.”
“Beh, non ti farò pressioni, ma ti sono grato, qualunque siano le ragioni.” Sorrise prima di allontanare il suo cavallo, facendo segno agli altri soldati che affiancavano gli Apache catturati. “Spostateli verso i ragazzi della prigione e assicuratevi che siano legati bene.”
“Non andranno da nessuna parte”, disse un caporale dall’aspetto grezzo, ridendo.
“Anche se fosse, non si corrono rischi con tipi così.”
Mentre gli indiani passavano, il guerriero capo si fermò e guardò verso Cole. “Tu sei quello che chiamano ‘Colui Che Viene’. Essere catturati da te è un onore.” Rivolse la sua attenzione agli altri soldati. “Ma vi dico una cosa. Non ci sottometteremo, e porteremo la sofferenza su di voi.” Guardò di nuovo Cole. “Vale anche per te, Colui Che Viene.”
A bocca aperta, Cole guardò come l’Apache dall’aspetto magro veniva strattonato e spinto verso la piccola prigione del forte.
“Cosa voleva dire?” chiese Vance, strofinandosi il mento, con un pallore mortale che gli cadeva sul viso.
“Non lo so, ma vai a dire al tenente di raddoppiare le guardie stasera, Vance. Giusto per essere sicuri.”
Vance si sollevò dalla sella, salutò e con la schiena eretta attraversò la piazza d’armi verso la folla di curiosi che si stava lentamente disperdendo. Dopo aver ascoltato ciò che Vance aveva da dire, il tenente lanciò un’occhiata maligna a Cole, che annuì una volta prima di voltarsi, il suo disagio era crescente.
JULIA
Quella sera preparò lo stufato e gli gnocchi, riempiendo il piatto di Sterling Roose fino a farlo quasi traboccare. Cole, seduto di fronte al suo buon amico, rise. “Credi di riuscire a mandarlo giù tutto, Sterling?”
“Credo di sì”, disse il filiforme Roose mentre attaccava lo stufato con gusto.
“Accidenti”, disse Julia, “sembra che non mangi da un po’ di tempo, Sterling. Hai bisogno di nutrirti.“
Ridacchiando tra un boccone e l’altro, Roose prese il piatto con i panini vicino a lui e ne strappò uno a metà. “Proprio così, lo ammetto”, disse, poi inzuppò il pane nel sugo e lo mandò giù.
“Sterling sta aiutando il vecchio sceriffo Perdew giù a Paradise”, disse Cole, con occhi scintillanti di malizia.
“Davvero?” chiese Julia e si sedette, tamponando l’angolo della bocca con un tovagliolo.
“Non ti fa mangiare?”
“Il solito, patate e salsa.”
“A ogni pasto?”
Roose annuì senza alzare lo sguardo. “Ogni pasto.”
“Sterling vuole diventare sceriffo”, disse Cole, concentrato sul pezzo di carne che stava tagliando.
“Non sei felice nell’esercito, Sterling?”
“Abbastanza”, disse Roose. “Ma non è più quello di una volta.”
“È vero”, disse Cole.
“Tu lo sai bene.”
Alzò lo sguardo e per un momento i due amici si fissarono l’un l’altro.
“Di cosa stai parlando?” Julia, notando l’atmosfera carica, guardò da uno all’altro. “Cole? Cosa vuole dire?”
Roose rispose per primo. “Le pianure del sud sono ormai quasi tranquille. Entro un anno, due al massimo, anche i Comanche saranno in una riserva, ma ci sono voci di disordini al nord.”
“Che tipo di disordini?”
“Sioux e Cheyenne”, disse Cole, finalmente vittorioso sulla carne. Si mise in bocca un grosso pezzo e lo masticò con un certo sforzo. “Le grandi tribù delle pianure. Ne hanno avuto abbastanza.”
“Ma cosa ha a che fare con noi, qui giù?”
“Non molto.” Il viso di Cole si alzò e catturò lo sguardo freddo di Roose. “Forse.”
La voce di Julia si ruppe un po’ quando spostandosi scompostamente sulla sedia disse: “Mi stai spaventando.”
“No, no”, disse rapidamente Roose, allungando la mano per accarezzarle l’avambraccio. “Non c’è bisogno di avere paura. Potrebbe solo... diffondersi, ecco tutto, quindi dobbiamo essere pronti.”
“Non è detto che succeda”, disse Cole, i suoi occhi si posarono sul modo in cui le dita di Roose stringevano il braccio di Julia.
Per il resto del pasto mangiarono in silenzio, gli unici suoni erano quelli delle posate contro le stoviglie, i gemiti soddisfatti e le bocche che masticavano. Quando finirono, Julia raccolse i piatti vuoti e li portò nella piccola cucina prima di tornare con una brocca di pietra. Versò la birra spumosa in tazze scheggiate, prima di sedersi e guardare i due uomini mentre bevevano.
“Allora, dimmi”, disse lei. “Quegli Apache che hai portato qui? Saranno impiccati?”
“Quasi certamente”, disse Roose, pulendosi la bocca e rimettendosi a sedere sulla sua sedia dallo schienale duro. Dietro di lui il fuoco crepitava e scoppiettava, i ceppi accatastati emanavano un calore intenso, ma confortante. “Credo che sia quello che chiamano ‘un caso già chiuso’ a causa dei sopravvissuti che testimonieranno.”
“Sono sorpresa che a questi selvaggi venga data un’udienza giusta.”
“È la legge”, disse Cole. Fece un respiro profondo. “Almeno da queste parti.”
“Questo grazie a te”, disse Roose, con voce piatta. Guardò la sua birra.
“Non solo a me”, disse Cole, spostandosi a disagio sulla sua sedia.
Accigliata, Julia guardò da uno all’altro. “Cosa vuole dire, Reuben? Grazie a te? In che senso?”
“Non vuole farlo sapere”, disse Roose in fretta, “ma il caro vecchio Reuben ha scritto al presidente Grant pregandolo di rassicurarlo sul fatto che agli indiani sarebbe stato concesso il giusto processo.”
“Hai scritto al presidente?” Julia si sedette, stupita.
Cole scrollò le spalle: “Niente di che”, disse con voce tranquilla e imbarazzata.
“E cosa ha detto il presidente? Ha risposto?”
“Non a me direttamente, ma il forte ha ricevuto una comunicazione che suggerisce di procedere con cautela. Stanno nascendo problemi al nord e il governo ha paura che si diffondano.”
“Sarà così”, disse Roose, scolandosi la tazza, “non importa come ci occupiamo di incursioni e simili quaggiù.”
“Incursioni? Sterling, questa è la loro terra. Hanno vissuto qui per migliaia di anni. Noi siamo arrivati e abbiamo preso quello che volevamo.”
“Non io”, disse Roose, arrossendo. “Non ho mai avanzato pretese per l’oro o per qualsiasi altra cosa.”
“Non mi riferivo a te personalmente, Sterling! Sai che non era quello che intendevo.”
“E anche se fosse, l’oro è una tentazione potente, e gli indiani non ne hanno bisogno, quindi qual è il problema?” Prese una piccola borsa di tela e iniziò a rollarsi una sigaretta.
“Oh, aspetta un momento”, disse Julia e saltò in piedi per raggiungere il piccolo cassettone appoggiato al muro accanto alla porta. Tornò con una piccola cassa di legno, la aprì e mostrò due sigari sottili e neri. “Li ho presi al negozio. Ho pensato che potessero piacervi.” Ne porse uno a Roose, che lo guardò con occhi spalancati.
“Che ospitalità”, disse Cole, prendendo il sigaro che Julia gli offrì e lo fece roteare sotto il naso. “Ha un buon odore, Julia.”
“Ho pensato di fare un piccolo regalo, visto che sei tornato sano e salvo.”
Dopo aver acceso il suo sigaro, Roose si chinò dall’altra parte e, stringendo le mani per proteggere la fiamma del fiammifero da una brezza inesistente, accese anche quello di Cole. “Sembra che lo faccia con una certa regolarità.”
“Beh,”, allungò la mano e strinse il braccio di Cole, “è bello averti qui. C’è un sacco di lavoro da fare e quei cavalli hanno bisogno di correre un po’.”
“Me ne occuperò domattina.” Lui colse il suo sguardo e ridacchiò: “Va bene, ci penseremo domattina!”
Risero tutti, Julia sembrava un po’ sollevata. “Preparo il caffè.”
Guardandola uscire dalla stanza, Roose sorrise mentre sbuffava il suo fumo. “È bellissima.”
“È vero.”
“Eppure...” Si chinò più vicino, abbassando la voce. “Se posso dirlo, vecchio mio, non sembri... troppo disposto.”
“Questo perché non lo sono.”
Roose si accigliò. “Ma pensavo...”
“Non è mai stata mia intenzione avere una relazione, Sterling. Né la sua, immagino.”
“Penso che tu ti stia sbagliando, Cole. È leale, premurosa. Persino devota, si potrebbe dire.”
“Il mio unico pensiero era di proteggerla fino al momento in cui si sarebbe sentita in grado di andare avanti.”
“Stai scherzando? Non troverai mai un’altra come lei.”
“Potresti avere ragione, ma non potrei mai chiedere a nessuno di condividere la mia vita in questo momento, non per come stanno le cose. Sai quanto è pericoloso là fuori.”
“Sì, ma... se lei è disposta a correre il rischio, a stare con te, ad assicurarsi che tu non faccia niente di troppo stupido, perché non permetterti di...”
Si fermò bruscamente quando il rumore di cavalli che si avvicinavano da oltre la porta d’ingresso si fece sentire.
Cole estrasse rapidamente la pistola dalla fondina appesa allo schienale della sua sedia proprio quando Julia entrò di corsa, con la faccia imbronciata. “Cosa succede?”
“Non lo so”, disse Cole mentre Roose tirava giù il fucile a leva Henry dai ganci sopra la porta. “Spegni le luci.”
Lo fece, spostandosi prima verso la grande lampada a olio in cima al comò. Seguì quella al centro del tavolo. L’unico bagliore rimasto era quello proveniente dalla cucina.
L’oscurità calò su di loro e Cole andò alla finestra chiusa adiacente alla porta e sollevò la barra di legno. Scrutò nella notte.
Una voce chiamò: “Signor Cole? Sono io, Hyrum Vance. Abbiamo un problema al forte, signore.”
Cole si lasciò uscire un respiro lungo e lento. “Va bene, grazie.” Si voltò e se non fosse stato per il buio, era sicuro che avrebbe visto Julia torcersi le mani fissandolo.
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