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Morte di Natale - Mark L'Estrange

Traduzione di Luisa Ercolano

Morte di Natale - Mark L'Estrange

Estratto del libro

Ogni viglia di Natale ha il suo rituale.

A casa nostra, di regola, i miei figli avere uno spuntino di mezzanotte, se fossero stati ancora svegli all’ora delle streghe. Controllai l’orologio, mentre mi asciugavo le mani in bagno; erano le 23.55 quando vidi i miei due figli maggiori strisciare sul pianerottolo verso di me.

Uscii sul pianerottolo e mi accovacciai davanti a loro. Adam, il mio primogenito, aveva otto anni; alto e magro, stava già sviluppando le spalle larghe di un nuotatore. Charlotte, sua sorella, aveva appena compiuto sei anni e, in qualità di donnina di casa, prendeva molto sul serio il suo compito di badare a noi.

“Che ci fate già in piedi, voi due?”, chiesi, arruffando i capelli ad Adam e strizzando il naso a Charlotte.

Charlotte si fece indietro, ridacchiando. “Abbiamo fame, papà”, disse, la voce appena più alta di un bisbiglio. Avevo insegnato ai miei bambini fin da piccoli a tenere la voce bassa quando avevo ospiti.

“Moriamo di fame”, rimarcò Adam, quasi lagnandosi.

Risi. “Morite di fame, eh?” punzecchiai giocosamente i loro pancini. “Come se non vi avessero mai dato da mangiare?”

Mi guardarono, imploranti.

In quel momento, vidi la più piccola che trotterellava dietro di loro. Melody aveva quasi due anni e ancora non era molto stabile, quando camminava. Schivò i fratelli, usandoli per sorreggersi, prima di cercare di superarmi. La presi per la vita e sollevai il suo corpicino agitato fra le braccia, alzandomi in piedi.

Un padre non può fare preferenze! Su quello non accettavo compromessi. Amavo i miei figli allo stesso modo, ma c’era qualcosa di speciale nella mia piccola Melody. Dalla prima volta che aveva aperto i suoi penetranti occhi blu e mi aveva guardato sorridente, avevo sentito quel dolore lancinante che tutti i padri provano quando, per la prima volta, la loro figlia lascia il nido.

Naturalmente sapevo che ci sarebbero voluti ancora molti anni prima di quel giorno, ma indipendentemente da quanto sembrasse irrazionale, lei mi mancava già.

Mentre le guardavo il visino angelico, con i capelli nerissimi lunghi fino alle spalle che lo incorniciavano perfettamente, sentii di nuovo il mio cuore sprofondare. Anche se sua madre era stata di una bellezza rara, trovavo ancora incredibile che un angioletto così perfettamente formato potesse essere stato prodotto dai miei lombi.

Rendendosi conto che i suoi sforzi erano inutili, Melody smise di agitarsi. Mi guardò con quegli occhi blu da spaccarmi il cuore, e iniziò a sfregarsi il pancino con la mano in senso orario. Sapevo che questo era il suo modo di dirmi che aveva fame.

“Gnam, papà”, bisbigliò, con la sua vocina da bimba.

Le baciai piano il naso e la passai a suo fratello. “Ok”, dissi, “lasciate che papà si occupi della sua ospite, poi potete mangiare”.

Gli si accesero gli occhi alle mie parole. Risi fra me; un estraneo avrebbe pensato che non davo loro da mangiare. Mi portai un dito alle labbra per ricordare loro di fare silenzio, poi scesi le scale, facendo attenzione ad evitare il quarto gradino dal basso - così come avevo fatto salendo - perché scricchiolava.

Dietro di me, sentii i bambini fermarsi in cima alle scale in attesa delle mie istruzioni. Li guardai e feci loro l’occhiolino. Adam aveva la sorellina sulle ginocchia, e la faceva saltellare per intrattenerla. Charlotte sedeva accanto a lui, e tutti e tre mi guardavano attentamente.

Raggiunsi il salotto, e lì, accoccolata sul tappeto davanti al camino, c’era la donna che avevo rimorchiato al club quella sera. Si mosse e gemette piano, tirandosi il piumone sul corpo nudo.

Nel farlo, si scoprì i piedi. Sbucarono per un attimo le dita dalla pedicure perfetta, prima che, nel sonno, le rimettesse al caldo.

Mi fermai accanto al camino e la guardai. Era bella. Lunghi capelli biondi, che all’inizio della serata la facevano sembrare appena uscita da una pubblicità, ora le ricadevano sugli zigomi alti, spettinati come succede solo dopo il sesso. Ma anche così, non toglievano nulla ai suoi tratti bellissimi - che schianto.

Dopo un po’, tirai via con cura il piumone per scoprire il suo corpo nudo. La sua pelle perfetta e senza macchie splendeva radiosa alla luce del camino. Ci fu un mormorio di protesta quando, tirata fuori dal suo bozzolo, perse calore, prima di rannicchiarsi in posizione fetale.

Mi inginocchiai accanto a lei e iniziai ad accarezzarle piano i capelli.

Con un lieve gemito si voltò verso di me e, con occhi assonnati, mi sorrise con calore. Schiuse appena le labbra e se le leccò, inumidendole abbastanza da renderle lucide.

Allungò una mano e cercò di attirarmi a sé. Fu così difficile resistere.

Con consumata abilità presi il coltello da sotto il divano e, con un unico movimento, le aprii la gola!

Lei sgranò gli occhi, un misto di terrore e confusione sul viso.

Cercò di parlare, aprendo e chiudendo la bocca senza emettere suono. Cercò di alzarsi, una mano che copriva lo squarcio sul collo attraverso cui pompava il sangue, e con l’altra cercava di spingere contro il pavimento per sollevarsi, ma fu tutto inutile.

Lo spruzzo arterioso di sangue schizzò sulle pietre intorno al caminetto, prima di affievolirsi e diventare uno schizzo sporadico dalla ferita aperta. Si accasciò, mentre le ultime forze la abbandonavano, poi giacque immobile.

La guardai un attimo ancora, poi tirai via del tutto il piumone. Fui compiaciuto nel notare che si era quasi salvato completamente dal sangue. Non potevo dire lo stesso per il tappeto, che ora era quasi del tutto rosso e non più del bianco originale. Quello era da buttare!

Con la punta del coltello, la aprii dalla gola all’inguine, rivelando gli organi interni, ora a bagno in quel che restava del suo sangue.

Raggiunsi la porta e mi voltai per guardare i miei bambini. Gli occhi luminosi erano pieni di impazienza, mentre mi guardavano leccandosi le labbra.

“Andiamo, mostriciattoli,” sorrisi. “È pronto!”

La cena è servita!

L’impazienza di Simon cominciò a crescere quando vide il cartello:

Hill House

1 miglio.

Con una mano sul volante della sua MG modificata, rovistò nel vano della portiera cercando lo spray per l’alito. Se ne spremette due spruzzi in bocca, facendo una smorfia al sapore forte. Voleva essere sicuro di essere al meglio, nel caso Serena aprisse la porta di persona... con un bacio di Natale!

Ancora non riusciva a credere alla fortuna di essere stato invitato alla sua festa di Natale. Era indubbiamente la donna più bella che avesse mai incontrato. E lui le piaceva. Doveva piacerle, altrimenti perché invitarlo alla sua festa esclusiva, avendolo incontrato per la prima volta quella sera?

A pensarci bene, era stato per un incontro fortuito agli ascensori al lavoro quella sera, che la sua collega Sarah aveva avuto l’opportunità di chiedergli di accompagnarla nel vicolo accanto all’ufficio, fino alla macchina della cugina. All’inizio, era stato riluttante. Dopo tutto, era la Vigilia di Natale, e lui non vedeva l’ora di incontrarsi con gli amici al pub prima che si affollasse.

A Simon non era mai piaciuta Sarah - era troppo scialba per un futuro dirigente come lui. Ma aveva un certo ascendente sul Direttore Generale. Da quando era stata portata in cima alla catena alimentare ed era diventata la sua Assistente Personale, Simon si era assicurato di prestarle un po’ più di attenzione. Anche se non troppa! Non voleva che lei credesse di piacergli. Però, pensò che non gli avrebbe fatto male fare la parte del cavaliere, a meno che non diventasse un’abitudine.

Simon finse entusiasmo facendo conversazione con lei mentre aspettavano che sua cugina Serena arrivasse. E quando finalmente arrivò, Simon fu quasi steso - in più di un senso. La Mini rossa arrivò stridendo contro il marciapiede, a una velocità tale che Simon dovette saltare sul bordo prima di essere investito. Era pronto a dirne quattro al guidatore... finché Serena non uscì da dietro il volante!

Era bassa, Simon stimò intorno al metro e mezzo, ma era bella da far girare la testa. Aveva i capelli neri e lunghi, tirati indietro. La pelle, pallida come il latte, faceva un contrasto perfetto con le labbra color rubino. Aveva gli occhi di un blu scurissimo, come zaffiri caduti nella neve. Il suo sguardo gli perforava l’anima. Sotto la giacca di pelle che le arrivava alla vita, Simon poteva scorgere una camicetta scollata cremisi, che rivelava abbastanza da essere sexy senza essere volgare. Sotto la camicia, portava dei jeans attillati, infilati in stivali neri al ginocchio.

Simon scrutò Serena da cima a fondo. Prima che potesse impedirselo, sussultò. Quando riportò gli occhi sul suo viso, lei sorrideva. Simon si sentì avvampare; odiava quando succedeva, ma era troppo tardi. Sperò che alla luce fioca del lampione Serena non se ne accorgesse.

Sarah, accanto a lui, invece, se ne accorse.

“Simon, vorrei presentarti mia cugina, Serena”.

Prima che Simon potesse ricomporsi, Serena fece un passo avanti, la mano protesa.

“Piacere di conoscerti, Simon. Mi dispiace molto”, indicò l’auto alle sue spalle. “Un giorno o l’altro finirò in qualche guaio per come guido”.

Simon le prese la mano pallida e morbida nella sua. Era fredda nell’aria gelida della notte. Guardò le unghie smaltate di rosso mentre si portava la mano verso il viso.

“Incantato”, disse, facendo del proprio meglio per sembrare sofisticato. Lasciò che per un attimo le labbra gli indugiassero sulla pelle perfetta di Serena.

“Oh”, sospirò Serena, guardando la cugina. “Non mi avevi detto di conoscere un vero gentiluomo”.

“Io e Simon lavoriamo insieme”, replicò Sarah. “È destinato a grandi cose, o almeno così mi fanno credere”.

Serena guardò Simon con approvazione. “Be’, di certo così pare”, si voltò di nuovo verso la cugina. “Perché non l’hai invitato alla mia festa di Natale? Sai che ho bisogno di un accompagnatore”.

Serena si voltò di nuovo verso Simon. Avvicinandosi, gli spolverò via dalla spalla dei capelli inesistenti. Gli occhi di Simon seguirono la sua mano. “E dei veri gentiluomini sono difficili da trovare”.

Quando Simon si voltò, Serena gli era così vicina che poteva quasi sentire i loro nasi toccarsi. Dovette combattere l’urgenza irresistibile di baciarla. Era così vicina che il movimento si sarebbe notato appena, e il pensiero di cosa ci fosse dietro quelle labbra color rubino lo stava facendo impazzire.

Ma con Sarah così vicina, sentiva di dover resistere.

La sua mente andò su di giri.

Era una trappola?

Se avesse abboccato e avesse provato a baciarla, Serena lo avrebbe allontanato?

Immaginò le due ragazze a ridere di lui per aver pensato, anche solo per un attimo, che una bellezza rara come Serena avrebbe lasciato che un sudicio deliquentello come lui baciasse quei sentieri per il paradiso, sensuali, imbronciati e color rubino.

Sarah aveva organizzato questa piccola farsa con la cugina come vendetta per qualche offesa passata commessa da Simon?

Ci pensò, ma non riuscì a immaginare un tale insulto. Ma forse, all’epoca, non se ne era accorto. Dopo tutto, prima che Sarah diventasse l’assistente personale del direttore generale, l’aveva a mala pena considerata, quando si incrociavano in corridoio.

Quell’attimo, per Simon, sembrò durare una vita di agonia.

Erano così vicini, ma si costrinse a non avvicinarsi.

Se lo avesse fatto Serena, sarebbe stato diverso... ma non lo fece.

Dopo qualche altro secondo, Serena fece un passo indietro.

Non era certo, ma Simon sentì di aver scorto un barlume di delusione sul suo viso.

Il momento era passato, per sempre.

Dannazione! Dannazione! Dannazione!

Serena sorrise. “Verrai, vero?”

“Oh, sì”, balbettò Simon. “Mi farebbe piacere. Dimmi solo dove e quando”.

Era consapevole di quanto suonasse pateticamente entusiasta, ma in quel momento non gli importava. Trasse conforto dal fatto che avrebbe avuto molto tempo per ricomporsi nel tragitto verso casa di Serena.

Sarah prese carta e penna dalla borsa. Appoggiata al tettuccio della macchina, iniziò a scribacchiare.

Passò il foglio a Simon.

“Non puoi sbagliare, dritto per la Old Forge Road fuori città, poi sempre dritto per tre miglia. All’incrocio, gira a sinistra, poi segui le indicazioni per Hill House”.

Sarah aprì lo sportello del passeggero. Entrando in auto, disse “Ho scritto il mio numero di cellulare sul retro, nel caso ti perda”.

Simon controllò i dettagli sul foglio che Sarah gli aveva dato.

“Non vedo l’ora”, disse Serena, dando a Simon un’altra occhiata. “Non metterci troppo, il divertimento inizia verso le nove”. Piegò appena la testa di lato, i lunghi capelli scuri che le scendevano sulla spalla e sul collo. “E avrò bisogno del mio accompagnatore quando farò il mio ingresso”.

Serena si voltò di nuovo verso l’auto.

Simon schizzò in avanti, rifiutandosi di perdere l’occasione. Mise la mano su quella di Serena sulla maniglia dello sportello.

“Permettimi”.

Serena gli sfiorò la guancia con le labbra.

“Un vero gentiluomo”, sospirò. “Sarai un’aggiunta perfetta alla mia piccola riunione”.

Mentre l’auto si allontanava, Simon sentì una pugnalata al petto, che non si affievolì.

Corse a casa. Fece una doccia, si cambiò, indossando il suo completo migliore, mise la colonia più costosa - quella che conservava per quando aveva la certezza di concludere. Si controllò almeno mezza dozzina di volte allo specchio prima di andarsene.

Le indicazioni di Sarah erano piuttosto semplici.

Simon controllò l’ora sull’orologio dell’auto; erano le 20.45.

Era presto per i suoi standard sulle feste, ma l’insistenza di Serena che lui fosse lì, presente “COME SUO ACCOMPAGNATORE” significava che non poteva permettersi di essere in ritardo nemmeno di un secondo.

Nonostante Simon avesse vissuto in città per la maggior parte della sua vita adulta, non si era mai avventurato per quella strada. Aveva sempre supposto che quella svolta portasse solo ad un altro bosco. E, dato che quelle erano le condizioni della strada sotto i suoi pneumatici, era certo di aver svoltato nel posto sbagliato. Decise di fermarsi e controllare le indicazioni di Sarah appena avesse trovato una radura.

L’auto sobbalzò sul terreno irregolare e, senza l’aiuto dell’illuminazione, Simon poteva misurare i propri progressi solo nella luce dei fari.

Poi la vegetazione intorno a lui si diradò e, in lontananza, riuscì a vedere le luci dalla casa.

Simon si fermò e guardò oltre il parabrezza, il motore al minimo.

Suppose che fosse il posto giusto, date le istruzioni.

Simon continuò a guidare, cauto.

Una Città In Pugno (Progressione Omicida Libro 1) - OJ Modjeska

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Quando Finisce la Musica

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