Summary Block
This is example content. Double-click here and select a page to feature its content. Learn more
Summary Block
This is example content. Double-click here and select a page to feature its content. Learn more

Testi

Testi

Testi

Testi

Il Portale delle Tempeste

Il Portale delle Tempeste


Il Portale delle Tempeste - Estratto del libro

Capitolo Uno

Appena mi feci strada fra la folla che si era accalcata oltre la porta, compresi come mai tutti i miei studenti si fossero immobilizzati. Le scrivanie, le pareti e le finestre, erano scomparse. Non potei fare altro che rimanere a bocca aperta come loro. Eravamo circondati da un’enorme foresta di alberi antichi. Eravamo sovrastati da querce e pini, oltre ad altri alberi che riconobbi solo in parte. Poco più avanti c’era un ampio spiazzo, butterato da pozzanghere fangose. Il pavimento blu-verde in linoleum era stato sostituito un morbido tappeto di terra. I pini americani erano incoronati dalla foschia mattutina. Il sole filtrava attraverso l’alto baldacchino di rami, la nostra nuova finestra. Un odore stagnante e pungente di zolfo mi invase le narici, formando una strana combinazione con l’aroma di gruppo di giacinti malconci, simile a quello del miele. Dolce come la polvere da sparo.

Eravamo su un campo di battaglia. Ai margini del bosco c’era un uomo con una barba grigia ben tagliata, dritto come il legname che lo circondava, che guardava la valle. Indossava un’uniforme della Guerra Civile. Un’alta uniforme. Confederata.

“Restate qui, tutti quanti. E fate silenzio.” Mi avvicinai lentamente a quell’uomo. La mia curiosità superò la mia cautela. I ragazzi, sorpresi e un po’ spaventati, ignorarono le mie istruzioni e mi seguirono in un gruppo compatto a poco più di un metro e mezzo di distanza. Evitando accuratamente le radici contorte, guardai gli alberi e notai la loro corteccia scheggiata e i fori di proiettile. Dell’acqua mi sgocciolò sui capelli e sul viso. Lacrime, pensai, l’universo è in lutto. Il movimento nella valle sottostante attirò la mia attenzione. Accanto alle tende, i soldati stavano caricando i carri. Ogni passo che facevo nell’umida foschia mi avvicinava a quell’uomo. Lo schiocco di un ramo spezzato attirò la sua attenzione. Girò la testa verso di me, poi guardò dietro di me, incuriosito dal gruppo di ragazzi alle mie spalle. Non si spaventò, ma ridusse con calma le distanze, passo dopo passo, venendo più vicino e superando i tronchi d’albero scheggiati e frantumati che circondavano la radura. Delle radici rovesciate si allungavano come tentacoli.

Quando fu abbastanza vicino da poter contare i suoi bottoni scolpiti, compresi che l’uomo di fronte a me era il Generale Robert E. Lee. Gli tesi la mano lentamente, per non allarmarlo, e dissi: “Perdonate l’intrusione, Generale. Mi chiamo Fritz Russell. Questi”, e indicai dietro di me, “sono i miei studenti.” Lee guardò con più attenzione, come se non li avesse visti fino a quel momento. “Generale, non so come siamo arrivati qui; spero che non ci siamo persi. Potrebbe dirmi dove siamo?”

Il generale attese un istante prima di rispondere. Guardò quel gruppo di ragazzi e ragazze abbigliati in modo insolito, non sapendo come considerarli. “Signor, ehm, Russell? Corretto? Beh, Signor Russell, ci troviamo ad Appomattox Court House.” La sua voce era autorevole e cadenzata, risuonava di tempi antichi che pensavo di conoscere solo grazie ai libri e all’immaginazione.

Mentre la comprensione si faceva strada nella mia coscienza, dissi: “Generale Lee, che giorno è oggi?”

Il generale, con fare diffidente, rispose: “È il 10 aprile.”

“1865?” chiesi.

“Certo”, disse Lee, diventando sempre più perplesso, quasi impaziente. In base ai miei studi, sapevo che il Generale Lee non era solito prendere decisioni avventate o incollerirsi rapidamente, ma noi lo avevamo sorpreso e la sua espressione tradiva una notevole cautela. Dopotutto era solo, disarmato e privo di protezione. Eppure non sembrava percepire un reale pericolo.

“Generale, sono a conoscenza di ciò che è successo qui e la prego di perdonarci per aver disturbato il suo momento di tranquillità. So che ultimamente non ne ha avuta molta.” Il Generale Lee annuì, manifestando il suo apprezzamento. Gli feci un cenno di assenso, poi feci cenno alla classe di girarsi e attraversare la porta dell’aula, ancora visibile, simile a una sagoma stampata su un fondale scenico. Appena gli studenti si furono girati, mi girai nuovamente verso Lee, con l’intenzione di salutarlo, e lui disse: “Signor Russell, posso farle una domanda?”

“Certo, Generale.” Feci qualche passo indietro nella sua direzione.

“Siete tutti vestiti in modo strano. Fra i suoi studenti ci sono dei giovani che dovrebbero portare un’uniforme.” Indicò i ragazzi. “Dov’è la vostra scuola?”

“Signore, lei ha studiato ingegneria e teorie scientifiche a West Point. Dico questo perché presumo che le nuove scoperte la possano interessare.” Feci una pausa, incerto sul fatto di poterglielo dire, ma a quel punto come avrei potuto fermarmi? Nel tentativo di coinvolgerlo, o forse di coinvolgere me stesso, risposi: “Generale, la mia scuola è nel New Jersey. Però, Generale, la cosa più importante è che, quando abbiamo iniziato la nostra lezione di stamattina, ci trovavamo a più di 150 anni nel suo futuro.”

“È evidente che lei stia cercando di ingannarmi”, disse il generale, con la sua voce cordiale, ma secca. “Oggi devo fare cose importanti, non apprezzo che lei mi stia facendo perdere tempo.” Si voltò per andarsene, camminando con attenzione sul terreno soffice.

“È difficile anche per me accettarlo, Generale Lee. Sembra che, almeno per il momento, la porta della mia classe apra un passaggio che ci ha permesso di viaggiare nel passato.”

Tornando sui suoi passi, mi fissò in silenzio, con un penetrante lampo negli occhi, mentre assimilava quella strana possibilità. “Signor Russell, dopo tutto ciò che ho visto negli ultimi quattro anni, pensavo di non potermi più meravigliare di nulla, ma la sua presenza e la sua affermazione dimostrano chiaramente che posso ancora sorprendermi. Sbalordirmi, perfino.”

Capitolo Due

QUALCHE GIORNO PRIMA eravamo andati al campo da basket. Ashley indossava una maglietta di Edgar Allan Poe, una delle varie magliette sui grandi autori che si era procurato. Io indossavo ciò che avevo trovato in cima al cassetto. Ash aveva delle costose scarpe sportive alte, Io avevo le mie migliori scarpe da battaglia. Aveva piovuto per qualche giorno. Non quanto ci saremmo aspettati, però, dato che era aprile.

Seguivamo le nostre regole e giocavamo per un dollaro a punto. Giocavamo a GIRAFFA-CAVALLO, un tiro per ogni lettera, più due tiri aggiuntivi. Dovevo riuscire a portarmi in vantaggio prima di arrivare alla prima F, perché Ashley è molto preciso nei tiri oltre la linea dei tre punti. Ed è anche dieci centimetri più alto. Fallimmo entrambi il tiro della seconda F, quindi lui tirò di nuovo.

“Voglio i tuoi soldi”, mi sibilò, mentre lo incitavo dicendo: “Lancia la palla, non le frecciatine”. Mi sorrise, tirò e mancò di nuovo il canestro.

“Stai invecchiando”, dissi. “E stai pure diventando scontroso.” Ashley, essendo un tipo sveglio, una volta mi aveva detto che RSVP significa repartee, s’il vous plait e che reparte è la parola francese per il turpiloquio. Sbagliai il tiro.

“A proposito di vecchi, presto dovremmo smettere. Ho troppi compiti da correggere per potermi permettere di stare qui”, si lamentò. Gli dissi che si sarebbe potuta combattere un’intera guerra nel tempo che sprecava a parlare tra un tiro e l’altro. Mi vennero in mente immagini di bandiere bianche. La sua e quella dei Confederati. Avevo sorpreso i ragazzi, quel giorno, facendo notare alla mia classe che la Guerra Civile era continuata per sette mesi dopo che Lee si era arreso. Mancò di nuovo il canestro.

Ash è in grado di discutere con me di storia, parlare di Ulisse con chiunque e commentare il baseball e il football come se fosse un conduttore radiofonico sportivo. In realtà, dice delle cose corrette su ciò che accade sul campo né più e né meno frequentemente di quanto affermi delle perfette fesserie. Insegna scrittura creativa, recita Shakespeare durante le sue lezioni di inglese e non si preoccupa di nascondere il leggero accento del New England quando dice: “Perché sei tu, Romeo.” Il mio colpo rotolò attorno al cerchio e ne uscì.

Ero in quella scuola da un anno quando conobbi Ash, a cui era stata assegnata un’aula in fondo al mio stesso corridoio. Quando lo incontrai per dargli il benvenuto, non avrei dovuto chiedergli come mai fosse venuto a Riverboro. “Per sopportar fiondate e frecciate di una sorte oltraggiosa”, disse con ferocia, “perché se no?” Poi rise. Parlammo molto, nei pochi minuti fra una lezione e l’altra. Gli dissi che un tempo volevo frequentare giurisprudenza. “Anch’io”, disse lui. Però, aggiunse, aveva deciso che prima avrebbe partecipato al programma “Insegnanti per l’America”. “Anch’io”, dissi.

“Avresti dovuto vedere i miei ragazzi, Fritz. Abbiamo organizzato un saggio su Shakespeare per l’intera comunità. Era tutto esaurito, inclusi i biglietti per i posti in piedi.” Il suo animo poetico, compresi, era ben nascosto da un fitto tessuto di spiritosaggini. Io gli dissi che ero stato assegnato a New York City, cosa che mi aveva portato un beneficio. Avevo conosciuto Linda. Quando terminai i due anni su quel progetto, accettai il lavoro a Riverboro perché mi ci trovavo bene. Volevo andarmene dalla grande città, ma non troppo lontano.

Riverboro è vicina a Philadelphia e risale alla Rivoluzione Americana. Un gruppo di volontari per il verde mantiene i vecchi alberi per le strade sani e al sicuro, garantendo il perpetuarsi dell’ombra estiva e dei colori autunnali. Tutti seguono le sorti delle squadre del liceo. La città organizza un concorso di Halloween, mentre Babbo Natale passa ogni Natale per la città su un camion dei pompieri. L’anno precedente, il 4 luglio, Ashley aveva recitato la Dichiarazione d’Indipendenza, in costume, a una folla che probabilmente era altrettanto numerosa di quella che la sentì per la prima volta, nel 1776.

Una delle cose che mi piacciono di Ashley è la sua capacità di afferrare rapidamente una gran varietà di idee. È molto utile averlo intorno quando si affrontano situazioni difficili. Dietro l’umorismo e il sarcasmo, si nasconde un uomo estremamente intelligente e analitico. E sa anche raccontare le barzellette. Anche mentre giochiamo a basket ridiamo molto. Anche a Linda piace Ashley. Parlano di libri, di film, di politica, di linee di condotta governative e di cucina. A volte io ascolto e basta. Lei dice che è “bello come una stella del cinema”.

Lui centrò il canestro per la F, io lo mancai di nuovo. Tirò per la A: un tiro lungo che attraversò il cerchio senza neanche sfiorarlo. Aveva finito “GIRAFFA”. Ero sotto di 2 dollari e ora iniziava la parte difficile. Lui è bravo, ma io non sono un avversario facile. A dire il vero, mi aveva insegnato lui. Quando avevamo iniziato quel rituale, mi aveva allenato sui passi, mostrandomi come fare un passo scivolato, e mi aveva anche insegnato su cosa concentrarmi. Stavolta prese la palla per primo. Fece una finta a destra, fece due passi alla mia sinistra, girò e fece un precisissimo tiro con un salto, mentre i suoi capelli lunghi svolazzavano. Uno a zero. Il suo secondo tentativo fu un tiro in sottomano, due passi energici sull’asfalto, fra rimbalzi che schizzavano nelle piccole pozzanghere, un gomito affilato sulla mia spalla e segnò il secondo punto … zip.

Mi porse la palla, sfidandomi ad afferrarla. I suoi occhi castani mi guardavano, attenti a vedere se stessi seguendo le sue mosse. Bilanciando il peso sulle dita dei piedi, gli guardai il torace e, mentre si sbilanciava verso sinistra, tirai la palla. La maggior parte delle volte facevo dei tiri lunghi, per impedirgli di bloccarmi. Durante l’inverno con lui perdo dei soldi, ma mi rifaccio quando giochiamo a golf. Prima che toccasse a me, diedi un’occhiata ai campi da baseball, notando che i prati erano già pieni di fango. Un chiaro suono mazze che colpivano le palle attirò la mia attenzione. Allenamento di battuta. Le squadre di lacrosse maschili e femminili correvano su e giù schizzando terra fangosa sui rispettivi campi e sulle loro caviglie. Le squadre di atletica si stavano scaldando per gli esercizi pomeridiani.

“Andiamo. Smettila di perdere tempo”, disse Ash. Si era piegato per riprendere fiato, col viso umido dal sudore e il colletto della maglietta completamente zuppo.

Diedi un’occhiata al cielo per vedere quanto tempo ci fosse rimasto. Le nuvole erano diventate nere e sembravano pronte a scaricarsi. Il vento impetuoso ci frustò le camicie sudate. “Che fretta c’è? Hai un appuntamento?”

“Sì. Con ventisette compiti sexy … di seconda superiore.” Quando rise, lo oltrepassai e feci un tiro in sottomano che mi portò sul 2 a 1.

“Ok. Colpo fortunato. Non ero attento.”

Prima del mio tiro successivo, guardai oltre la rete e feci cenno ad Ash. Avevamo attirato una folla di insegnanti e studenti. Non li avevo sentiti, ma stavano facendo il tifo. E ridevano. Quando Ash mi diede nuovamente attenzione, dribblai la palla qua e là, cercando un’apertura. Quando mise giù le mani per bloccare la mia finta, lanciai un jumper che rimbalzò sul tabellone e mi portò sul 2 a 2. La palla era ancora mia. Non persi tempo e feci un passo avanti. A quel punto iniziò a piovere. Misi giù la palla e mi incamminai verso la porta. Ash la prese e tirò. Swish. Poi corse verso di me. Tenni la porta per farlo entrare. Le nostre camicie erano inzuppate come se avessimo giocato in una sauna.

Successivamente Ash mi disse che un fulmine si era abbattuto sulla scuola, scagliandomi all’indietro. Mi disse che avevo volato per circa un metro e mezzo, prima di cadere sulla schiena come un sacco di patate. Battei la testa. Duramente. Mi disse di aver provato ad afferrarmi, ma era troppo lontano e non riuscì ad evitarmi l’impatto. “Splat”, mi disse in seguito. Chiamò il 118. Gli spettatori ancora presenti scavalcarono la recinzione, ma Ash era già all’opera. Quando comprese che il mio cuore si era fermato, mi fece un massaggio cardiaco. I paramedici arrivarono dopo circa sette minuti, disse, e si occuparono di me. Uno preparò un defibrillatore, l’altro mi fece un’iniezione di epinefrina nel petto. Quando ripresi a respirare, Ash chiamò Linda, le disse cos’era successo e la fece venire all’ospedale.

A Mersey Killing - Una Musica Dal Passato

A Mersey Killing - Una Musica Dal Passato

Un Gioco Da Assassini

Un Gioco Da Assassini