L'avvertimento di Clarissa (Misteri delle Isole Canarie - Volume 2) - Isobel Blackthorn
Traduzione di Stefania Parente
L'avvertimento di Clarissa (Misteri delle Isole Canarie - Volume 2) - Isobel Blackthorn
Estratto del libro
Ognuno ha il suo prezzo. È il detto preferito di mio padre. Lui è un venditore di auto usate diventato promotore immobiliare. Io non sono nessuna delle due cose. Ma quando lessi in un giornale locale che il proprietario della casa dei miei sogni era intenzionato a demolirla, agii rapidamente. Gettai il buonsenso alle ortiche e, in un'unica mossa anche se complicata, mi lanciai a capofitto per salvare quella casa.
In verità, non era una casa, non era niente che potesse essere chiamato casa, l'edificio, non molto di più di sezioni di muri di pietra e di tetto, si reggeva con la sua stessa tenacia. Ben poco infatti era rimasto ad affrontare un vento implacabile. Poiché il rudere non si trovava tra le pieghe di verde della mia contea natale dell'Essex, né in nessun altro quartiere dai pascoli bucolici, ma su una pianura piatta e polverosa nell'arida Fuerteventura, un'isola che visitavo ogni anno per le mie vacanze estive.
Non ero del tutto priva di buon senso. Il mio rudere si trovava nella città dell'entroterra di Tiscamanita, a una distanza di sicurezza dalle spiagge della movida ma non così lontano dai sentieri battuti da essere isolato e remoto. L'isola era abbastanza desolata senza dovermi nascondere in una delle sue tante valli aride e vuote. In un villaggio ben organizzato, avrei avuto tutto ciò di cui avevo bisogno per una vita confortevole, sicura, sapendo che c'erano altri nelle vicinanze. Come donna single abituata a vivere in una vivace città inglese, bisognava pensare a queste cose.
I problemi erano cominciati nel momento in cui avevo deciso di agire. L'ex proprietario del mio amato rudere, il signore in attesa con la sua palla da demolizione, non era stato difficile da identificare. Il suo nome era menzionato nello stesso articolo di giornale, il giornalista di Fuerteventura si era sforzato di dare i dettagli della storia recente del proprietario. I vari dettagli genealogici non significavano niente per me. Sapevo leggere abbastanza bene lo spagnolo, l'avevo imparato per anni, ma non avevo alcuna comprensione della nobiltà spagnola e mi mancava una profonda conoscenza della storia coloniale di Fuerteventura. Nell'era della tecnologia informatica, quando gli affari si potevano condurre a distanza con pochi clic del mouse e qualche strana firma qui e là, niente avrebbe potuto essere più semplice che acquistare una proprietà all'estero. C'erano siti web che spiegavano ai potenziali acquirenti tutti i requisiti legali, le insidie e le trappole. Se non fosse stato per il fatto che il possessore della mia agognata casa dei sogni risiedeva da qualche parte sulla Spagna continentale e se non fosse stato deciso ad usare la proprietà per sviluppare qualsiasi aspirazione a lui cara, l'acquisto sarebbe andato in porto in pochi mesi.
La prima complicazione era stata localizzare l'indirizzo del proprietario. Inserendo il nome in alcune ricerche online, scoprii i suoi interessi commerciali. Con quelli scarabocchiati nel mio taccuino, assunsi un avvocato per il contatto iniziale e per confermare le mie credenziali: io, Claire Bennett di Colchester, un 'umile cassiera di banca di professione, fino a quando la mia fortuna non aveva girato con i numeri di un biglietto della lotteria e mi ero ritrovata sorprendentemente benestante.
Il pensiero di possedere tutta quella ricchezza si era impossessato di me, mi aveva dato la volontà di fare un salto nel buio, di rischiare. La maggior parte di me era rimasta scioccata che avessi avuto il coraggio di andare fino in fondo.
Con mio grande dispiacere, il proprietario, il Señor Mateo Cejas, rispose alla mia richiesta con un freddo e fermo rifiuto. Il rudere non era in vendita. Beh, lo sapevo. Il governo locale, in preda al senso di colpa per aver lasciato cadere in rovina tanti vecchi edifici, aveva ritenuto la dimora di particolare interesse e aveva già fatto un'offerta, che era stata rifiutata. Il resoconto completo delle frustrazioni dei vari funzionari e della comunità locale era stato raccolto dallo scrittore dell'articolo di giornale che condivideva il loro punto di vista.
Sospettavo che il Señor Cejas si opponesse alla trasformazione dell'edificio nell'ennesimo museo dell'isola, dato che il restauro di un mulino a vento a Tiscamanita serviva già allo scopo. O forse aveva in mente di costruire case per le vacanze sul consistente appezzamento di terreno. Era il tipo di piano che mio padre, Herb Bennett della Bennett and Vine, avrebbe avuto in mente. Demolire e ricostruire. Vendere ad un prezzo maggiorato a investitori desiderosi di affittare ai vacanzieri; i costruttori non potevano perdere. Erano una razza inesorabile, pronta a giocare una lunga partita. Senza dubbio Cejas avrebbe aspettato finché le mura non fossero crollate in un mucchio di macerie, poi il governo avrebbe ceduto e concesso un permesso di demolizione. Che Cejas potesse avere una ragione più profonda e complessa per voler cancellare la struttura non mi era venuto in mente.
Mio padre aveva cercato di dissuadermi dai miei piani. Mi telefonava la sera quando sapeva che stavo guardando Kevin McCloud e continuava a ripetere che c'erano un milione di usi migliori della mia vincita. Tenevo il telefono lontano dall'orecchio e lo lasciavo sproloquiare finché non esauriva i suoi consigli.
Ero irremovibile. Ero passata davanti a quella rovina numerose volte durante i miei giri in macchina per le strade secondarie dell'isola e ne ero rimasta affascinata. Una volta mi ero fermata a scattare una foto. Nel corso degli anni, avevo scattato una miriade di foto delle rovine dell'isola, ma quella era stata ingrandita, incorniciata e appesa sopra il camino del mio soggiorno. La fissavo ogni giorno, l'immagine che diventava per me un punto focale del pensare positivo, fervente a volte, un potente simbolo di desiderio di un tipo di vita diversa da quella in cui ero bloccata. Finché non vinsi alla lotteria, questa era la natura del mio desiderio.
Un ingente deposito sul mio conto corrente e non ero più bloccata dov'ero. Ero libera e quella libertà era entrata nella mia vita come un fulmine, destabilizzandomi nel profondo. Improvvisamente, non potevo immaginare di fare altro nella mia vita. Di tutte le vecchie case che stavano cadendo a pezzi sull'isola, una combinazione di mancanza di interesse, rigide norme di restauro, apatia e facilità di costruzione con blocchi di cemento, avevo scelto di salvare quella, come una bambina con il naso premuto contro la vetrina di un negozio di dolci, il dito appuntito che batte sul vetro.
Il testardo Señor Cejas non aveva ancora incontrato una donna del calibro di Claire Bennett, una donna fissata con un sogno, una donna disposta ad offrire molto di più dell'importo già fin troppo gonfiato offerto dal governo. Inizialmente, avevo offerto gli stessi quattrocentomila euro. Rifiutati. Quattrocentocinquanta. Declinati. Aumentai l'offerta di cinquantamila, con il tono delle lettere del mio avvocato a Cejas che aumentava in indignazione e le sue lettere a me in esasperazione, finché alla fine ci eravamo accordati su una somma. Seicentomila euro ed ebbi il mio grande progetto.
Quando ricevetti la notizia che la mia offerta era stata accettata, avevo già rinunciato al mio lavoro di impiegata in banca. Avevo dato le dimissioni nel momento in cui avevo saputo di essere ricca e che non avrei dovuto più lavorare se fossi stata attenta con i miei soldi. Fu con notevole sollievo che uscii dalla mia filiale per l'ultima volta, dicendo addio all'unica carriera che avessi mai conosciuto.
Per vent'anni avevo sopportato quell'ambiente claustrale, occupandomi quotidianamente di depositi e prelievi, mutui e prestiti, e di chi non era in grado di gestire le proprie finanze, in un modo o nell'altro. Preferivo i tempi pre-internet quando dovevamo scrivere sui libretti. Persino nel 2018, c'era sempre qualcuno per cui l'internet banking era incomprensibile. Spesso, erano anziani, ma non sempre. O c'erano quelli che usavano i servizi bancari via telefono ma non riuscivano a ricordare il loro numero cliente di riferimento o il pin, o le risposte a una delle domande di sicurezza che loro stessi avevano creato, o anche il saldo di uno dei loro conti. Venivano in filiale per ottenere il ripristino del loro conto dopo che era stato bloccato. Si lamentavano di questa piccola ingiustizia, come se la banca li avesse obbligati a mettere le mani sotto lo schermo dello sportello e ghigliottinato i loro polpastrelli. Poi ci mettevano un'eternità a fare una serie di semplici transazioni e io mi immaginavo una piastra di acciaio che scendeva con forza per impedire loro di respirare i loro disgustosi germi attraverso il plexiglas.
Quando quel tipo di cliente esaminava il personale, invariabilmente sceglieva me, la gentile Claire, per scaricare un potente mix di indignazione e disperazione. Io lo guardavo freddamente e spiegavo che l'internet banking era davvero molto facile e gli avrebbe dato il controllo delle operazioni bancarie e non avrebbe avuto bisogno di uscire con qualsiasi tempo e aspettare una lunga coda per fare ciò che avrebbe richiesto solo due minuti seduto comodamente al caldo e all'asciutto con una bella tazza di cioccolata. Molte volte un cliente scontento sosteneva che mi permetteva di mantenermi il lavoro e io rispondevo interiormente con un 'vorrei che non lo facessi' perché non volevo il lavoro. Anzi, lo detestavo. Avevo fatto domanda vent'anni prima solo perché era la fine degli anni '90 e Blair era al potere dopo anni di recessione economica, i posti di lavoro erano difficili da trovare e la finanza sembrava essere il nuovo dio, ed io, come molti altri, credevo che le cose sarebbero solo migliorate. Ero appena uscita dalla scuola e il settore bancario era il posto giusto. Ma non a Colchester.
La banca non era mai stato il mio sogno. Il mondo della finanza era tutto basato sui numeri, mentre io avevo ottenuto un buon voto in inglese, che trovavo affascinante, storia, che adoravo, e cultura generale, quest'ultim<t,dovuto all'amore per i quiz di mio padre che insisteva che andassi con lui ogni mercoledì alla serata Trivial del pub locale. Lui affondava in un paio di pinte di Directors ed io mi sedevo con una limonata e un pacchetto di patatine e acquisivo una notevole quantità di fatti apparentemente irrilevanti. Che si rivelarono essere altamente rilevanti, invece, quando si trattò di sostenere l'esame di cultura generale, un corso abilmente progettato per evitare che la marmaglia ottenesse un punteggio abbastanza alto per entrare nelle università più prestigiose.
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