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Figli della Stella Bianca - Linda Thackeray

Figli della Stella Bianca - Linda Thackeray

Traduzione di Lisa Raspanti

Figli della Stella Bianca - Linda Thackeray

Estratto del libro

Era di nuovo lì.

Con lo stesso vento secco e caldo che gli soffiava sulle guance, sbatté le palpebre mentre rinnovava la sua conoscenza con quel sogno così familiare. Non importava quante volte ci fosse stato: tutto sembrava nuovo. Forse era perché il terreno appariva alieno, con nuove cose da scoprire.

Il cielo azzurro era sempre la prima cosa ad attrarre la sua attenzione. Per la maggior parte della vita si era svegliato sotto un cielo color ambra riscaldato dal bagliore del sole arancione scuro intorno a cui orbitava Brysdyn. Quell’intenso splendore invece gli toglieva il fiato. L’azzurro sembrava un colore innaturale. Non aveva mai visto un mondo come quello neppure nel corso di tutta la sua carriera militare.

L’azzurro era il colore degli oceani e dei ghiacciai, non del cielo.

Eppure, quello era uno dei tanti enigmi di quel posto. Un altro erano i campi dorati che costellavano il paesaggio, con qualche chiazza di verde qua e là. Aveva sempre pensato che, in una pianta, il colore dorato o marrone fossero un segno che stava morendo, arrostita dal calore di un clima torrido. E tuttavia, osservando la terra che si stendeva davanti a lui, sapeva che godeva di piena salute. I fusti si ergevano maestosi sotto la luce del sole, fieri e ribelli contro il vento che con dolcezza li costringeva a piegarsi.

Emanavano un odore particolare, insolito, ma stranamente rilassante. Si accese nella sua mente la fiamma di un ricordo, ma dalla luce così fievole che i frammenti svanirono prima ancora che lui riuscisse a ricomporli. Minuscoli granelli di polline, trasportati dalla brezza, danzavano nell’aria. Udì il chiassoso starnazzare di strani uccelli bianchi dalla cresta gialla che solcavano il cielo e che cinguettavano con voci quasi umane.

Com’era entrato quel mondo nella sua testa? Era forse una combinazione di vari luoghi ricreata dalla sua psiche? Forse ogni dettaglio di quel posto era il pezzo simbolico di un puzzle realizzato dal suo subconscio?

Ci fu un mutamento considerevole, con un improvviso abbassamento della temperatura. Il problema del cielo azzurro, da quel che gli era sembrato di capire, era che, quando si faceva freddo, appariva più scuro. Sopra alla sua testa le nuvole bianche divennero di un grigio minaccioso, simile a fumo. La brezza divenne un vento deciso che, con moto violento, trasformò la graziosa esibizione dei pollini danzanti in un movimento frenetico.

Sapeva cosa stava per accadere. Quella calma momentanea glielo faceva dimenticare ogni volta, ma quando la tempesta imperversò sul paesaggio come una divinità vendicativa, si ricordò cosa c’era ad attenderlo.

Avrebbe dato qualunque cosa per sapere cosa tutto ciò rappresentasse. Fin dall’inizio gli aveva provocato una paura così intensa come mai aveva provato in vita sua. Garryn era ben capace di fronteggiare la paura: non era un codardo, né ignorava gli aspetti più difficili dell’esistenza, ma quando iniziavano le esplosioni gli veniva voglia di mettersi a correre per andare a nascondersi sotto una roccia.

L’esplosione iniziale lo fece cadere in ginocchio. Persino in sogno, i suoi anni di servizio militare si facevano strada nel terrore e prendevano il sopravvento. Le vide arrivare sopra di sé, ombre oscure e malvagie, come rapaci che tornavano a precipitarsi sulla preda. Quelle figure compirono un altro passaggio, ma sapeva di non essere lui il bersaglio.

Era qualcos’altro, qualcosa di nascosto.

Non aveva mai capito cosa stessero cercando. Sapeva solo che avrebbero dato fuoco ai campi dorati e incendiato il cielo per trovarlo. I bellissimi uccelli bianchi precipitarono sul suolo carbonizzato, le piume immacolate annerite dalla fuliggine e dallo sporco. Gli occhi di Garryn iniziarono a lacrimare e i polmoni a bruciare, man mano che il fumo lo privava dell’aria fresca e il calore gli pungeva la pelle.

Avrebbe voluto svegliarsi e andarsene prima che quel luogo sereno si disintegrasse ulteriormente, ma c’era sempre qualcosa che lo tratteneva. No, si rese conto che non era qualcosa, ma qualcuno.

Nell’istante in cui la pensò, lei apparve.

Sembrava quasi che dovesse evocarla nella propria mente, perché lei potesse fare la sua apparizione. Quella giovane donna aveva i capelli di un biondo dorato, così chiari da sembrare quasi bianchi. Riflettevano la luce del sole, a dispetto della devastazione che la circondava. La pelle era color del bronzo e, a vederla correre su quella pianura in fiamme, appariva simile a un indomabile spirito del fuoco.

Garryn non si svegliava mai prima che lei arrivasse.

Gli occhi azzurri di quella donna perlustravano i campi, cercando senza sosta, colmi di paura, non per il terrore degli oggetti volanti che facevano piovere la morte dal cielo, ma di qualcos’altro. C’era qualcosa che alimentava la sua determinazione a proseguire, nonostante l’angoscia. Era una ricerca inutile, in mezzo al caos del fuoco e del fumo. Se ne rendeva conto persino lui. Ma lei andava avanti, inflessibile nel suo rifiuto ad arrendersi, spinta da qualcosa di più grande del desiderio di preservare la propria vita.

Gridava un nome, ma lui non riusciva mai a sentirlo. Vedeva la disperazione che quella donna aveva negli occhi, una disperazione che si trasformava in panico quando cominciava a rendersi conto che probabilmente non avrebbe trovato quello che stava cercando. Le lacrime le scorrevano lungo le guance, tracciando solchi sulla pelle coperta dalla fuliggine. Avrebbe voluto aiutarla, ma come in molte altre occasioni prima di quella, non riusciva ad arrivare in tempo.

A piedi nudi e ancora avvolto nelle lenzuola, corse verso di lei, nel tentativo di raggiungerla prima che l’inevitabile li colpisse entrambi.

Giunse sottoforma di un’esplosione ben troppo familiare. Scoppiò dentro al suo cranio, quando i suoi sensi si ritrovarono sovraccarichi per tutti i rumori e i colori dell’attacco. Seguì un breve grido, l’unico suono che la udiva emettere.

A corto di fiato, la raggiunse nel solito punto. Come tutte le altre volte di cui aveva ormai perso il conto, niente cambiò quando le si avvicinò. Le fiamme dei campi infuocati li sovrastavano e la nuvola di fumo era così densa che diventava difficile vedere il cielo. Il mondo si trasformò in una foschia di fumo furente e di calore penetrante.

Un rivolo di liquido rossiccio, denso e viscoso, scivolò verso di lui, lambendogli le piante dei piedi con il suo calore bruciante. Garryn non si ritrasse, né corse via. Era necessario per il rituale, era un prova da sopportare finché quell’incubo non l’avesse liberato dalla sua morsa. Forse l’unica cosa di cui aveva bisogno per potersene andare, per svegliarsi, era vederla.

Gli occhi azzurri e vuoti della donna fissavano il nulla, mentre i capelli biondi venivano cosparsi di sangue. Dei rivoli color vermiglio le solcavano le guance, andando a mischiarsi con lo sporco e le lacrime ormai asciutte. Il suo viso aveva un’espressione infastidita, come se la Morte fosse un’ospite arrivato in anticipo per la cena. Sul petto si stagliava la ferita mortale. L’energia del colpo che aveva ricevuto non si era ancora dissipata del tutto e la carne bruciata sfrigolava ancora.

L’ondata di dolore e angoscia che si sollevò dall’animo di Garryn era come una marea di una forza indomabile, che trovò sfogo in un urlo.

Garryn urlò quella parola che non riusciva mai a ricordare una volta sveglio.

 

*********

 

Garryn si sollevò a sedere nel letto.

Per un attimo sembrò quasi aspettarsi di trovarsi circondato dalle fiamme e dal fumo del sogno. Come sempre, non appena cercava di ricordarne i contenuti, i ricordi gli sfuggivano dalla mente. Quando si rendeva conto di essere sveglio, si ritrovava con il battito accelerato sforzandosi di ricordare il perché.

Con un profondo sospiro, si passò le dita tra i capelli, scuotendo via gli effetti residui di quell’incubo. Nonostante la frescura di quella notte, aveva le lenzuola appiccicate alla pelle. A lungo si sentiva preda della sensazione di essere perso e insicuro, che poi diventava frustrazione. Era lo stesso sogno di ogni singola notte dal suo ritorno a casa e, se le cose andavano come al solito, non avrebbe dormito per il resto della nottata.

Dopo un futile tentativo di sfidare la sorte e provarci comunque, decise di alzarsi dal letto. Fuori era ancora buio. Il crono al muro gli diceva che l’alba non era lontana. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva visto il sorgere del sole a Brysdyn e ancora di più dall’ultima volta che se l’era goduto da casa.

«Luci».

«Luci attivate».

I comandi computerizzati gli risposero con una dolce voce femminile, inondando la stanza con una soffusa luce d’ambiente.

La vista di quella camera ancora lo frastornava.

Avrebbe preferito tornare nella propria, ma non gli era concesso scegliere. La camera era una suite collegata a un balcone che si affacciava sul cortile sottostante. Ospitava pezzi d’antiquariato e opere d’arte inestimabili provenienti da una decina di mondi, esibendo tessuti lussuosi ed eleganti. Garryn aveva l’impressione di essere il pezzo finale che andava a coronare la mostra di un museo.

Si spinse fuori dal letto e si avvolse in una vestaglia prima di uscire sul balcone. Aveva bisogno di inalare l’aria notturna nei polmoni e di sfuggire al panico che si stava facendo strada nelle sue viscere. La decisione di insediarsi nella residenza ufficiale del Prescelto non gli aveva mai dato un senso di claustrofobia così profondo.

Appoggiandosi al parapetto in marmo, incamerò la vista di quella magnifica alba. Era ancora buio, ma l’intenso cielo ambrato indicava che quella sarebbe stata una giornata calda. La suite del Prescelto era situata ai piani alti del Domicilio e offriva una vista panoramica della città.

Sotto di lui, Paralyte suscitava la sua invidia per la sua capacità di dormire. La capitale gli sembrava simile a una ricca vedova seduta al centro dell’Impero Brysdyniano. Sede dell’Imperatore e del Prescelto, suo erede designato, era stata immortalata nella prosa e nelle rappresentazioni teatrali e artistiche sin dagli albori dell’Impero. I primi coloni superstiti dell’Esodo avevano scelto quel luogo per costruire il loro nuovo insediamento dopo aver raggiunto questa zona della galassia.

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