Linee di Confine
Linee di Confine - Estratto del libro
Capitolo 1
I lampioni baluginavano attraverso il denso smog scuro che inghiottiva la città. Mistique stava tornando a casa. I suoi tacchi al neon picchiavano violentemente sul cemento cercando di contenere la sua ebbra spavalderia. Il suo vero nome era Clare, Clare Tent, aveva trentadue anni ma diceva di averne ventitré; una bugia che cominciava a mostrare la corda.
Era una fredda sera di luglio, ma aveva lavorato molto e l’appiccicosa brezza autunnale le forniva un po’ di sollievo al dolore al collo. Teneva il soprabito sul braccio, noncurante del fatto che il costume con i lustrini non lasciava nulla all’immaginazione. Al diavolo ciò che pensavano tutti, era sempre stato il suo motto. Certo, era una prostituta ma non era una di quelle che se ne stavano agli angoli delle strade per pagarsi una dipendenza che non sarebbe mai finita. Clare lavorava da Lulu. Aveva degli ammiratori, era ubriaca di champagne e il vestitino che indossava valeva più di quanto la maggior parte della gente di S’aven era in grado di risparmiare in un anno.
Erano le quattro del mattino, le strade ondeggiavano dolcemente mentre i locali notturni iniziavano a chiudere. Sciami di ricchi londinesi si ammassavano per le strade, cantando e fischiandole dietro. Lei sorrise e passò oltre urlando che il giorno successivo la potevano trovare da Lulu, quelli che potevano permettersela.
Londra chiudeva la frontiera per il coprifuoco alle dieci, costringendo chi aveva il lasciapassare a festeggiare a S’aven tutta la notte o a trovarsi qualche topaia dove infilarsi fino al mattino. I bar rimanevano aperti fino alle prime luci dell’alba, ma di solito per quell’ora i londinesi si erano già da tempo tuffati ad assaggiare le oscene delizie che S’aven aveva da offrire, e c’era molto da assaggiare.
I gruppi che barcollavano per le strade avevano perso la loro occasione. Erano troppo ubriachi o troppo poveri per permettersi una stanza in uno dei molti bordelli che sorgevano vicino al confine. Ma faceva caldo e nessuno aveva intenzione di rimanere fuori quando l’alba era così vicina.
Un altro gruppetto di gente eccitata che la superò la schernì. Lottò con le mani che volevano palparla e si allontanò. Il segreto era farlo con leggerezza. Fare scenate attirava l’attenzione e i guai erano l’ultima cosa di cui Clare aveva bisogno. Allungò il passo, ignorando l’urlo di dolore delle vesciche nei tacchi. Dal gruppetto si staccò qualcuno e la seguì. Due di essi le urlarono che le avrebbero fatto passare dei momenti meravigliosi e lei non riuscì a trattenersi dal ridere a crepapelle. Insistettero per un altro isolato e infine la ignorarono. Era sempre così, e aveva raggiunto i suoi trentadue anni grazie alla giusta miscela di spietata determinazione e coraggio d’acciaio.
Percorse altre due strade prima di rendersi conto di essere ancora seguita.
Non sarebbe stata la prima volta che qualche stronzo pensasse di poterci provare con lei. Ma Clare era nei paraggi da abbastanza tempo per sapere come cavarsela. Senza farsi vedere sfilò dalla tasca del soprabito il coltello a serramanico e lo spray antiaggressione che Lulu aveva fornito a tutte le ragazze. Un veloce riposizionamento del soprabito e fu pronta. Rallentò, godendo della sensazione di controllo che sentiva.
La presenza si avvicinava. Percepì qualcosa dietro di lei, qualcosa di grosso e freddo. Sentì delle mani che si accostavano alla nuca, stringevano, sentì polpastrelli sfiorarle la pelle. Era arrivato il momento di dimostrare il suo potere. Si voltò, preferendo il coltello allo spray.
Affondò nel vuoto.
Non c’era nessuno lì. Le strade vuote si perdevano nelle tenebre ma la stretta al collo non era sparita. Quando tentò di allontanare quella forza che le stava per schiacciare la gola, il coltello le cadde a terra. Non riusciva a respirare. Il corpo si sollevò. Scalciò, i tacchi che sfioravano appena il marciapiede. La stretta divenne più forte e perse il controllo: del respiro, della vescica, della vita. Le ossa delle braccia e delle gambe iniziarono a piegarsi. Voleva urlare ma tutto ciò che le uscì fu una specie di gracidio.
Quando la vista iniziò a oscurarsi vide una figura, una sagoma in lontananza con il braccio teso verso di lei. Cercò di allungare il suo ma era troppo tardi.
Non era così che doveva accadere, fu il suo ultimo pensiero.
I passi veloci di Harry si arrestarono.
Al termine della strada vide il corpo di una donna. Si avvicinò esitante, controllando in giro se qualcuno stesse osservando. Era la terza ragazza. Estrasse il telefono e catturò il momento per la sua collezione.
2
La campagna soffocava sotto il caldo. Un nugolo di nuvole color indaco serpeggiava minacciando un altro nubifragio. L’Inghilterra era vittima dell’estate, il sole mattutino la cuoceva come carne bollita. La pioggia sarebbe arrivata presto, ritemprando i campi e le strade abbandonate, rinfrescandole per un brevissimo istante finché la cottura a fuoco lento sarebbe ricominciata. Non cresceva nulla con quel clima, la campagna rimaneva più brulla di quanto fosse mai stata d’inverno. I piccoli villaggi che componevano il pittoresco sud dell’Inghilterra erano stati da tempo abbandonati dieci anni prima, dopo la peggiore delle alluvioni. Lungo i terreni pianeggianti adesso si stendevano grossi laghi e acquitrini, attraverso il livello dell’acqua spuntavano comignoli dai tetti di paesi perduti; monumenti a un tempo migliore.
Rachel aveva viaggiato in lungo e in largo. Era sopravvissuta all’inverno gelido in una fattoria abbandonata e al primo segnale di primavera si era messa in cammino. La neve era arrivata presto ed era durata fino ad aprile, ma mentre sedeva nel sedile posteriore della loro Range Rover rubata, col sudore che le colava sul collo e sulla schiena, desiderava trovarsi ancora accanto a quel fuoco all’aperto, cercando di evitare i geloni ai piedi.
Non era solo il caldo. Non era mai stata così vicina alla sua vecchia casa in dieci mesi. Da quando cioè aveva conosciuto i fratelli Smith e la sua vita era cambiata per sempre. A quel tempo era stata una preda, un premio per uomini senza scrupoli che giocavano a un gioco violento, ma quei momenti erano passati e l’avevano resa più forte. Safe Haven, la vecchia baraccopoli che circondava Londra, era a meno di mezz’ora di auto. Non riusciva a evitare di sentirsi agitata per quella vicinanza. In quella città aveva lasciato molto sangue e una vita cui non voleva tornare. Non apparteneva più a quel posto. Non apparteneva a nessun posto, a dire la verità; proprio come i due uomini che erano nell’auto con lei.
I fratelli avrebbero dovuto rapirla ma il loro ripensamento le aveva salvato la vita, e aveva salvato anche la loro. Il più grande, Charlie, era un relitto, viveva una vita carica di sensi colpa dall’omicidio della moglie. John invece, il più giovane, negava l’evidenza, incapace di riconoscere i fallimenti di Charlie. La sua improvvisa presenza nel loro rapporto li aveva tirati fuori dai guai dieci mesi prima ed era stata Rachel che li aveva tenuti insieme durante l’inverno.
“Dovremmo essere nella zona giusta”, disse Charlie, alzando la testa dalla mappa e lanciando uno sguardo torvo alla strada aperta. Alcune perle di sudore si raggrupparono nella barba corta delle sue guance. Una vita in strada lo aveva reso eternamente trasandato, ma era sobrio da due mesi e cominciava a piacergli. Gli occhi erano più accesi, l’umore infinitamente più sopportabile. Nonostante non avesse il bell’aspetto finemente cesellato del fratello, adesso poteva contare su una bellezza interiore, una natura che rendeva facile essere ben disposti nei suoi confronti.
Ruotò la mappa lanciando a Rachel un sorrisetto compiaciuto attraverso lo specchietto.
John aveva guidato per tutta la mattina mentre Charlie lo indirizzava in strade di campagna cieche e tragitti malridotti. Il caldo non sembrava dargli fastidio come invece accadeva agli altri. Nei dieci mesi in cui aveva condiviso il sedile posteriore non lo aveva visto neppure sudare. La faccia arrossata era dovuta a un altro vicolo cieco. Si erano persi e a ogni strada ripercorsa la tensione nell’auto rischiava di rivaleggiare con la tempesta che si preparava sopra le loro teste.
“Aiuterebbe sapere cosa stiamo cercando,” grugnì John, impaziente ogni secondo di più. Afferrò lo sterzo così forte che la stessa automobile sembrò irrigidirsi.
“È una piccola cappella, te l’ho detto. Ha l’aspetto di una cappella. Devo disegnartela?”
“E chi diavolo piazza una cappella nel bel mezzo del nulla?”
“Darcy ha detto che si trova sulla strada, non possiamo non vederla.”
Non c’erano né chiese né cappelle, solo rovine – reliquie di una religione proibita. Quando il governo impose al Paese la secolarizzazione, scomparve tutto: religione, tolleranza, buon senso. Quelli che ancora si affidavano alla fede dovettero accontentarsi di un Dio nomade. Chiese, sinagoghe e moschee traslocarono per tutto il Paese, a volte tutte insieme: la persecuzione ama la compagnia.
Rachel stessa veniva da un convento, una bambina orfana con poteri speciali allevata da suore che amavano credere che lei fosse qualcosa di più di un gene mutato. Era stato grazie a Padre Darcy, ma era stato anche grazie a lui che sua sorella era scomparsa e il lascito che Isobel si era lasciata dietro aveva raggiunto Rachel, una volta. Non era sicura di come si sarebbe sentita nel vedere ancora il vecchio prete, ma tenne quei pensieri per sé. Per Charlie e John Darcy era come un padre, e anche se non erano rimasti esattamente in buoni rapporti aveva ancora un grande significato in famiglia. Le venne in mente all’improvviso: di quella famiglia adesso faceva parte anche lei.
“Perché pensi che abbia chiamato?” chiese John, rilassato perché adesso avevano trovato un lungo tratto di strada con più asfalto che buche.
“Non lo so. Ho l’impressione che abbia un lavoro per noi ma che non ne volesse parlare al telefono.”
“E perché non vorrebbe dircelo se fosse un lavoro?”
“Non lo so, John. Chiediglielo quando lo incontriamo.” Charlie si asciugò la faccia sulla manica della camicia, poi iniziò a tamburellare eccitato sul cruscotto.
C’era una macchia in quel paesaggio bruno.
Un piccolo edificio di pietra era pericolosamente in bilico alla fine della strada, mattoni e ardesia cadevano dalle pareti rotte e dal tetto. Il cimitero era sommerso da rovi e ortiche, ma il sentiero principale verso la cappella era stato ripulito di recente. C’erano tracce lungo il fosso che portava alla chiesa, qualcuno aveva chiaramente parcheggiato lì per la messa. Avrebbe potuto crollare su se stesso, ma Dio c’era ancora in quel tugurio. Rachel guardò l’elegante croce sul tetto che artigliava il cielo, e in quel momento iniziò a piovere.
L’acqua li colpì così forte che l’auto iniziò a oscillare. Rachel si guardò gli scarponi. Erano impermeabili, appena comprati, come la maggior parte delle altre cose. Aveva lasciato S’aven senza nulla, non che lì avesse chissà cosa. Adesso invece aveva dei bei vestiti nuovi, due paia di scarpe e anche un orologio che funzionava. Era stato un inverno duro ma aveva portato delle ricompense.
John fermò la macchina il più vicino che poté al cancello della cappella. Tirò il freno a mano e mantenne il motore acceso.
Charlie lo guardò torvo. “Non vorrai rimanere qui fuori.”
“Qualcuno deve pur controllare la strada.”
“Per cosa? Sono due ore che siamo in viaggio e abbiamo incontrato solo un’altra macchina.”
John posò le mani sul volante, non si sarebbe spostato di lì.
“Ha a che vedere con la tua fobia?”
“Quale fobia?” chiese Rachel.
“John ha paura delle chiese.”
Rachel non riuscì a trattenere una risata. Era difficile immaginare John impaurito da qualcosa.
“Non ho nessuna fobia!”
Charlie scosse la testa. “Va bene, ma spegni questo maledetto motore. Dobbiamo pensare al pianeta.”
“Mi piace pensare che lo stiamo uccidendo compassionevolmente,” borbottò John e Rachel, dopo dieci mesi, ancora non sapeva dire se stava scherzando o meno.
Spense il motore e nell’automobile scese una calma esitante. Se John non fosse entrato significava che neppure Rachel avrebbe dovuto andare. Sarebbe stato molto più facile che confrontarsi con Darcy.
“Se vuoi puoi rimanere, Rach,” le propose Charlie.
Lei scosse la testa, essere parte della famiglia significava prendere il buono e il cattivo. Per ogni cosa buona avrebbe dovuto sopportare qualcosa di cattivo. Aveva le sue scarpe nuove, era il momento di confrontarsi con Darcy.
“Cosa aspettiamo?”
La mobilità di Charlie migliorava di giorno in giorno. Il danno dovuto alle ferite da coltello alla schiena non sarebbe mai passato completamente, ma adesso affrontava il dolore e stava imparando a usare di nuovo il suo corpo. Con l’aiuto della stampella ogni movimento sembrava senza sforzo. Uscì con una giravolta e girò attorno all’auto per aprire la porta a Rachel.
La pioggia cadeva pesantemente. Erano fradici ancora prima di raggiungere il portico. C’era una porta improvvisata, socchiusa. Dentro, ciò che rimaneva della vecchia cappella si scontrava con ciò che cadeva dai buchi del soffitto. Panche in disfacimento erano sparpagliate a caso come se qualcuno avesse tentato di ripararsi dall’acqua, ma il tetto era in un tale cattivo stato che dentro non pioveva meno che fuori.
Le finestre sul lato sinistro dell’edificio erano rimaste intatte. Le modeste vetrate colorate erano buie per l’assenza di sole. Il lato destro era distrutto da tempo, incapace di difendersi dalle tempeste che martellavano il Paese da decenni.
La cappella apparteneva una volta alla Chiesa d’Inghilterra e ora era occupata dai Cattolici. L’effetto che ne derivava era bizzarro. La statua della vergine e alcuni santi indistinguibili erano appollaiati sulle panche vicine, fuori posto come un ateo nella casa di Dio. Rachel le osservò con una leggera tenerezza. Non era particolarmente religiosa ma quelli erano simboli della sua infanzia.
Charlie camminò attraverso le statue. Si diresse verso la sagrestia chiamando Darcy mentre Rachel passeggiava per la navata buia cercando di dare un nome ai santi di pietra. L’altare era sovrastato da un enorme Cristo crocefisso. Era troppo grande per le dimensioni della chiesa, e incombeva sulla navata controllando i fedeli. A Rachel venne in mente un Cristo simile di quando era piccola, e di come le suore si fossero arrabbiate con lei quando aveva messo in discussione la sua evidente origine ariana. A quel ricordo le salì un sorriso alle labbra. Alzò lo sguardo verso quel Cristo e fu colpita dai suoi nudi piedi neri. Si accigliò quando notò il risvolto dei jeans. E quando vide una faccia che non aveva visto da quando era una bambina le si spalancarono gli occhi.
“Charlie!” urlò.
Darcy era nudo fino alla cintola. Le costole spuntavano da sotto la pelle coriacea, indizio di malnutrizione. Le braccia erano state legate con delle corde sanguinanti a una croce grossolana costruita con i pezzi di una panca rotta. Non era rimasta altra corda per i piedi e così al suo posto, per tenere a posto le gambe dell’ottantenne, era stata usata una cintura. C’erano anche altri segni – bruciature sul petto e sul volto, sangue rappreso sul corpo ricoperto di lividi. Da quanto tempo era lassù?
“Chiama John!” disse Charlie. Cercò disperatamente di liberare il corpo, invano. “Chiama John!” ordinò ancora, facendo tornare Rachel in sé.
La ragazza urlò attraverso la porta d’ingresso e anche se John aveva una fobia questo era abbastanza per fargliela passare. Fu da loro in un momento. Si caricò l’intera croce e la posò sul pavimento con l’aiuto di Charlie. Il legno era pesante e scivoloso a causa della pioggia. Sul volto emaciato di Darcy caddero gocce d’acqua mentre John tentava di tagliare le corde.
“Chi farebbe una cosa del genere a un vecchio?” Charlie tremava per la rabbia. Era suo padre, il suo mentore. Non importava che le loro ultime parole fossero state poco piacevoli, quell’uomo significava tutto per lui.
Rachel si inginocchiò e controllò il battito, più per abitudine che perché avesse qualche speranza. C’era un metodo preciso per stabilire la morte di una persona, lo aveva fatto abbastanza volte quando lavorava all’ospedale St Mary di S’aven. Toccò con le dita il collo ghiacciato e stava per ritrarsi quando sentì un lieve battito.
“Non è morto,” disse e premette l’orecchio sul petto dell’uomo. “Non ci credo, respira ancora, più o meno.” Stava per morire e anche con la sua preparazione medica non aveva idea se sarebbe sopravvissuto qualche altro minuto. Ma c’era qualcosa che poteva fare. Se era ancora vivo significava che il suo cervello era ancora in funzione e con i suoi poteri avrebbe potuto leggere i suoi ricordi. “Potrei scoprire chi è stato.”
Prima che riuscisse ad avvicinare la mano sulla fronte del prete John la fermò.
La allontanò, con fermezza. “No,” disse. “Darcy non avrebbe voluto.”
Rachel si incupì. “Potrebbe essere l’unica opportunità che avete per sapere chi ha fatto tutto questo.”
“John ha ragione,” concordò Charlie. “Tutto quello che Darcy sa di ogni Comunicatore che abbia mai incontrato è nella sua testa. Non ci vorrebbe nessuno lì dentro. Anche se significasse che il suo assassino la faccia franca.
John lasciò la presa. Lei controllò di nuovo il respiro di Darcy. “Allora dobbiamo portarlo subito all’ospedale, non posso fare nulla per lui qui.”
“S’aven è a mezz’ora,” disse John.
La tempesta che li circondava si abbatteva sulle pareti. Le pietre cominciavano a tremare. L’acqua si riversava sempre più forte attraverso il soffitto, facendo cadere lastre di ardesia nella navata. Rachel si chinò su Darcy per proteggerlo e John si chinò su di lei. Il rumore crebbe.
Non era il vento. Era qualcos’altro.
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