Palla Curva al College (I Misteri del Braxton Campus Libro 1) - James J. Cudney
Traduzione di Chiara Vitali
Palla Curva al College (I Misteri del Braxton Campus Libro 1) - James J. Cudney
Estratto del libro
Non sono mai stato a mio agio su un aereo. La mia natura sospettosa dava per scontato che la magia che teneva sospesi questi velivoli nel cielo avrebbe cessato di esistere per il capriccio di qualche sopraffino stratega. Ascoltare il ronzio dell’elica cambiare velocità – o sperimentare quei vuoti d’aria sobbalzanti e misteriosi chiamati turbolenze – equivaleva a morte imminente in un aggeggio di alluminio destinato ai guai. Trascorsi l’intero volo con la mascella serrata, le mani aggrappate ai braccioli e gli occhi incollati allo schienale del sedile di fronte al mio, sperando con impazienza che il diligente custode dell’aldilà non mietesse un’altra vittima. Nonostante la mia straordinaria abilità nel comprendere il funzionamento di qualsiasi cosa meccanica, e sebbene Nana D si ostinasse a definirmi brillante, ero decisamente pieno di dubbi su questo mezzo di trasporto. Il mio istinto mi suggeriva che sarei stato più al sicuro precipitando dalle cascate del Niagara nudo all’interno di un barile.
Dopo essere atterrato all’Aeroporto Internazionale di Buffalo Niagara in un deprimente pomeriggio di metà febbraio, noleggiai una Jeep per percorrere i restanti centocinquanta chilometri verso sud dirigendomi in Pennsylvania. Diversi centimetri di neve compatta mista a ghiaccio sporco coprivano l’unica strada che portava alla sperduta città in cui ero nato. Braxton, uno dei quattro incantevoli paesini circondati dalle Wharton Mountains e dalla Foresta Nazionale di Saddlebrooke, sembrava impenetrabile alle forze esterne.
Mentre cambiavo corsia per evitare una zona scivolosa, il numero di mia sorella illuminò lo schermo del cellulare. Misi in pausa i Maroon 5 sulla mia playlist di Spotify, accettai la chiamata e iniziai a lamentarmi. «Ricordami perché sono di nuovo qui.»
«Senso di colpa? Amore? Noia?» ipotizzò Eleanor ridacchiando.
«Stupidità?» Desiderando qualcosa di sostanzioso per soffocare i rumori rabbiosi che riecheggiavano dal mio stomaco, presi un biscotto con gocce di cioccolato da una borsa sul sedile del passeggero. L’enorme tazza di caffè al caramello salato – gratuita, per gentile concessione di una graziosa barista dai capelli rossi che aveva spudoratamente flirtato con me – non sarebbe stata sufficiente da sola. «Per favore salvami da questa tortura!»
«Non succederà, Kellan. Avresti dovuto sentire la mamma quando ho suggerito che avresti potuto non farcela. “Inventa sempre scuse per non tornare a casa più spesso. Questa famiglia ha bisogno di lui qui!” Non preoccuparti! L’ho calmata» gridò Eleanor per sovrastare il rumore di diversi piatti e bicchieri che risuonava in sottofondo.
«Si è già dimenticata che ero qui a Natale?» Un altro biscotto finì nella mia bocca. Ero impotente di fronte ai dolci – la mia unica kryptonite. Ecco perché da sempre pensavo che avrebbero dovuto essere uno degli alimenti principali del genere umano. «Di due visite a casa nell’arco di sei settimane una è di troppo, secondo me.»
«Come hanno fatto i nostri cari fratelli a inventare scuse accettabili per saltare il più grande evento sociale della stagione?» chiese Eleanor.
«Ho rinunciato a competere con loro anni fa. È facile farla franca quando non deludi i tuoi genitori come il resto di noi.»
«Ehi! Non farmi deprimere perché tu non puoi sfuggire alla imbarazzante sindrome del figlio di mezzo.» Eleanor mi mise in attesa per gestire il reclamo di un cliente.
Mia sorella minore aveva compiuto trent’anni il mese prima, compleanno infelice, visto che non aveva ancora incontrato l’uomo giusto. Aveva anche insistito sul fatto di non stare assomigliando sempre di più a nostra madre, nonostante ogni ora di ogni giorno relegasse quegli sprazzi di immaginazione nell’oblio. A dire il vero, Eleanor era l’immagine sputata di Violet Ayrwick, e tutti ne erano consapevoli tranne loro. Gemelline, come Nana D le scherniva sempre facendo una vocetta infantile. Eleanor sarebbe stata sicuramente presente alla festa di pensionamento di nostro padre, dato che non c’era la benché minima possibilità al mondo che io andassi da solo a quella perdita di tempo e denaro. Il festeggiato era stato il rettore del Braxton College negli ultimi otto anni, ma all’età di sessantacinque anni Wesley Ayrwick si era dimesso da quell’ambito ruolo.
Eleanor tornò in linea. «A Emma stava bene che questa volta venissi da solo?»
«Sì, l’ho lasciata dai genitori di Francesca. Non potevo farla stare a casa da scuola di nuovo, ma ci vedremo su FaceTime ogni giorno.»
«Sei un padre straordinario. Non so come fai a tirare avanti da solo» replicò Eleanor. «Allora, chi è la donna che hai intenzione di incontrare mentre questo fine settimana ci onori della tua presenza?»
«Abby Monroe ha portato a termine una serie di ricerche per il mio capo, Derek» dissi, maledicendo il produttore esecutivo viscido e festaiolo del nostro pluripremiato programma televisivo, Dark Reality. Dopo aver informato Derek che dovevo tornare a casa per un impegno familiare, lui mi aveva generosamente suggerito di aggiungere qualche giorno extra per rilassarmi prima che in redazione tutto esplodesse, quindi mi aveva assegnato un’intervista alla sua ultima fonte. «Non sai chi possa essere?»
«Il nome mi suona familiare, ma non riesco a ricordarmi chi sia» replicò Eleanor tra un urlo al cuoco e un’esortazione a fare in fretta. «Su cosa stai lavorando?»
Dark Reality, un programma televisivo in stile inchiesta giornalistica che aggiungeva drammaticità ai crimini della vita reale, trasmetteva episodi settimanali pieni di colpi di scena, come nei reality show e nelle soap opera. La prima stagione aveva esaltato le imprese di due serial killer, Jack lo Squartatore e il Vampiro, portando lo spettacolo in cima alle classifiche come serie al debutto. «Questo fine settimana devo leggere la sceneggiatura della seconda stagione… la caccia ai fantasmi e i roghi delle streghe nella cultura americana del diciassettesimo secolo. Ho davvero bisogno di trovarmi un nuovo lavoro. O di uccidere il mio capo.»
«Le strisce da carcerato non ti starebbero bene.» Eleanor mi prendeva spesso in giro.
«Figurati, sono troppo bello.»
«Non lo metto in dubbio. Sentiamo cosa ne pensa Nana D prima che io ti demolisca per aver detto qualcosa di così patetico. Magari questa Abby è normale, chi può dirlo?»
«Con la fortuna che ho io, sarà un’altra vittima amareggiata e derisa, giustamente intenta a farsi giustizia per qualunque trauma colossale Derek le abbia inflitto» risposi con un sospiro. «Io dico che è un’altra mina vagante.»
«Quando devi farle l’intervista?»
Era stata mia intenzione fissare un pranzo con questa Abby, in modo da acquisire le nozioni base su di lei, ma ero arrivato al pelo al gate, infognato nella tiritera del volo last minute. «Speriamo domani, se non abita troppo lontano. Derek sostiene che viva nella Pennsylvania centrale. Quell’uomo non ha il concetto di spazio o distanza.»
«Qui sta diventando affollato. Devo andare. Non riesco a cenare con voi stasera, ma ci vediamo domani. Non ammazzare nessuno finché non parliamo di nuovo. A presto!»
«Solo se tu non avveleni i clienti.» Chiusi la chiamata, implorando gli dei di riportarmi a Los Angeles. Non sopportavo lo stress, e divorai gli ultimi due biscotti rimasti. Data la mia ossessione per i dolci, la palestra non era mai stata eludibile. Facevo esercizio fisico tutti i giorni a meno che non fossi malato o in vacanza, e questo viaggio non apparteneva a una delle due categorie. Non ci sarebbero stati spiagge, bungalow in riva al mare o mojito. Quindi, non mi sarei divertito.
Percorsi la strada tortuosa con il riscaldamento impostato su morte-da-sauna e le spazzole dei tergicristalli in modalità maniacale passivo-aggressiva per mantenere il parabrezza libero da nevischio e ghiaccio. Era pieno inverno e tutto il mio corpo tremava, e non era una buona cosa, visto che i miei piedi avrebbero avuto bisogno di frenare in caso di cervi o alci. Sì, erano bestie comuni, da quelle parti. No, non ne avevo colpito nessuno. Non ancora.
Niente di meglio di quel momento per proporre un incontro ad Abby. Quando rispose, non rimasi sorpreso dalla sua ingenuità riguardo all’approccio subdolo del mio capo.
«Derek non mi aveva detto che avrei incontrato qualcun altro. Hai un cognome, Kellan?» si lamentò dopo che avevo già spiegato chi ero nel primo minuto della chiamata.
«Ayrwick. Kellan Ayrwick, assistente alla regia nella seconda stagione di Dark Reality. Pensavo che potremmo rivedere la ricerca che hai preparato e discutere la tua esperienza lavorativa nell’industria televisiva.»
Il silenzio rimase sospeso per alcuni secondi. «Ayrwick? Come... beh... non ci sono degli Ayrwick che lavorano al Braxton?»
Rimasi momentaneamente sbalordito da come una groupie potesse sapere qualcosa del Braxton. Poi ipotizzai che frequentasse il college o che in passato fosse andata a scuola con uno dei miei fratelli. «Vediamoci domani a pranzo. Vogliamo fare all’una?»
«No. Non sono pronta a parlare questo fine settimana. Pensavo di prendere un volo e raggiungere Derek nei prossimi giorni. È il momento sbagliato.»
«Non possiamo incontrarci per una breve presentazione?» Derek sapeva sicuramente come scegliere le persone melodrammatiche. Riuscivo a immaginarmela mentre si arricciava i capelli e sbatteva le palpebre con gli occhi vacui, nonostante non sapessi che aspetto avesse.
«Sono molto presa da un’inchiesta esclusiva su un crimine nella contea di Wharton. Potrebbe essere qualcosa da proporre a Derek per... beh, è troppo presto per dire qualcosa.» La sua voce si fece debole. Probabilmente aveva dimenticato come usare il telefono o aveva accidentalmente disattivato l’audio.
«È quello che gli ha proposto per una futura stagione di Dark Reality? Sono interessato ai crimini veri e al giornalismo investigativo. Forse potrei aiutarti con il tuo scoop.» Una volta realizzato che viveva nella mia stessa contea, provai in tutti i modi a incastrare un appuntamento.
«Sei uno dei figli di Wesley? Ne ha un’intera sfilza.»
La mia bocca si aprì di quattro centimetri buoni. Nana D si sarebbe messa a contare le mosche che ci entravano, visto quanto tempo rimase spalancata. Chi era questa ragazza? «Non vedo come sia rilevante, ma sì, è mio padre. Frequenti la Braxton, Abby?»
«Se la frequento? No, però ci sono un po’ di cose che devi sapere se lavoreremo insieme.» Rise istericamente, emettendo veri e propri grugniti.
«Fantastico, quindi possiamo vederci domani?» Il tono di quella donna mi infastidiva, ma forse l’avevo giudicata male basandomi sui gusti stereotipati di Derek. «Anche solo mezz’ora per instaurare un rapporto di lavoro. Conosci il Pick-Me-Up Diner?» Eleanor gestiva il locale, quindi avrei avuto una scusa per allontanarmi se Abby fosse diventata troppo difficile da gestire. Mia sorella avrebbe fatto in modo che un cameriere versasse una scodella di zuppa addosso ad Abby, per poi rinchiuderla in bagno mentre io mi davo alla fuga. Non c’era niente che mi piacesse di meno delle persone sciocche, incapaci o insulse. Ne avevo avuto abbastanza di loro dopo aver frequentato una tizia di una confraternita anni prima. Se avessi incontrato un’altra sciacquetta losangelina, avrei lasciato che la famiglia di Francesca, i Castigliano, prendesse il controllo della situazione. Un attimo. Come non detto, non ho mai pronunciato queste parole ad alta voce.
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