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Ardore polare

Ardore polare


Ardore polare - Estratto del libro

Capitolo 1

Russell “Russ” Tadzea era in piedi sulla piccola, improvvisata pista accanto al suo aereo a due posti, e fissava incredulo la donna di fronte a lui. Donna era la parola sbagliata. Era una ragazza. Una giovane ragazza. Non poteva essere l’insegnante. Nella sua mente, Russ ripensò alle insegnanti d’asilo che aveva visto in televisione. Lei avrebbe dovuto essere di mezza età e grassoccia, a metà tra la zia preferita e una nonna gentile che amava raccontare storie. Avrebbe dovuto odorare di cannella e di dentifricio alla menta. Quella… creatura sembrava poter essere spazzata via da un vento forte. Capelli color zucchero grezzo le si agitavano attorno alle spalle, aggrovigliandosi intorno alla pelliccia bianca finta che orlava il cappuccio del suo cappotto. Sottili guanti neri le proteggevano le dita dal freddo di settembre. Per Russ, le temperature intorno ai 10 gradi erano piacevoli, quindi capì che lei non doveva essere dell’Alaska. La ragazza incrociò il suo sguardo. Quelle pozze d’ambra scura catturarono la sua attenzione, brillando nel sole.

“Riley Jenkins?” chiese lui, e lei trasalì, annuendo. “Sei un’insegnante?” insistette lui.

Lei abbassò di nuovo il mento, ma non emise un solo suono.

“Ti servono degli occhiali da sole,” sbottò lui. “Solo perché fa freddo, non significa che sia sempre buio. E spero che tu abbia guanti migliori di quelli.”

“Sì, signore,” rispose lei. “So qualcosa sul freddo. Sono nella mia valigia. Non si sta così male, adesso.”

La sua voce dolcemente modulata, almeno, sembrava giusta. I bambini si raccoglieranno intorno a lei per ascoltare le storie di Riccioli d’Oro e di Tremotino. Vorrei poterle ascoltare.

Riscuotendosi da quei pensieri sciocchi, Russ realizzò che forse era suonato un po’ brusco. Anche se la ragazza aveva risposto senza una palese manifestazione di emozioni, i suoi occhi avevano un luccichio sospetto e il suo labbro sembrava voler tremare. Dovrà indurirsi, se vorrà sopravvivere in questa remota landa desolata. Ma avvertiva ancora una fitta di senso di colpa per la sua durezza. “Andiamo, ragazza,” brontolò, indicando l’aeroplano.

Lei gli lanciò un’occhiata dubbiosa e poi si voltò verso di lui, con un sopracciglio alzato.

“Sì, è sicuro,” ringhiò lui. “Sono pilota da… da quando sono stato grande abbastanza per guidare un’auto, e conosco questo piccolo aereo come il palmo della mia mano. Andrà tutto bene.”

Lei sospirò e arrancò verso il piccolo veicolo alato. Lui le aprì lo sportello e l’aiutò a salire al posto del passeggero. Richiudendo lo sportello, esaminò Golden, Alaska, la città che sarebbe stata casa di lei finché… beh, sembrava che non avrebbe resistito per molto, là. Case e capanne ammassate intorno ad un negozio di alimentari, un bar e una piccola chiesa. Più oltre, fuori dal campo visivo, alcuni negozi, un piccolo cinema, e altre varie imprese locali inframmezzate tra altre case. Il complesso scolastico K-12 si ergeva sulla destra, in una radura nella fitta foresta di sempreverdi. Sulla sinistra, gli alberi si affollavano fianco a fianco in un solido muro verde. Non fa una bella impressione, agli estranei, lo garantisco, pensò, anche se la piccola città rendeva un po’ nervoso anche lui. Girò intorno all’aereo e saltò al posto del guidatore, accendendo velocemente il motore.

“Hai già volato su un piccolo aeroplano?” le chiese.

“Sì,” rispose lei. “Una volta, mio padre ed io viaggiammo su un aereo così piccolo che aveva soltanto un assistente di volo.”

Lui aprì la bocca e poi la richiuse, ma una rapida occhiata in direzione di lei rivelò un’espressione compiaciuta sul suo viso.

“Mi stai prendendo in giro, vero?” disse con una rombante risata. “Potrei dover affrontare qualche vuoto d’aria, durante il viaggio.”

Lei ridacchiò. “Spero che lei abbia dei buoni prodotti per pulire il vomito… o un grande sacchetto per il vomito. Ma, per essere seri, no, non sono mai stata su un aereo così piccolo. È certo che sia sicuro? Scusi. Non intendevo dubitare di lei.” I suoi strani occhi color del whisky si abbassarono sul suo grembo, dove le sue mani si torcevano nervosamente, strapazzando le dita dei guanti.

Dannazione, ha smesso di sorridere. Per un attimo… Non osò dar voce all’incantevole immagine del sorriso di Riley. Riley… un nome così moderno! Non le si adatta per niente. Avrebbe dovuto chiamarsi Grace o Elizabeth. Forse Charlotte. Qualcosa pieno di storia e fascino. “Non si preoccupi, signorina Jenkins,” la rassicurò. “Molte persone, anche persone che non fanno caso ad aerei più grandi, non si sentono sicure su un biposto. Non la prendo sul personale. E non mentirò, potrà sentirsi molto meglio in un jet di linea, ma ciò non significa che sarà in pericolo.”

“Okay,” disse lei. “Le credo.” Alzò lo sguardo su di lui e i suoi occhi avevano riacquistato il loro luccichio, anche se le sue labbra rimanevano immobili. Non un accenno di sorriso. Solitamente, quando Russ ringhiava contro qualcuno, non ci pensava su due volte sul risultato. Era la sua natura dopotutto e, inoltre, gli abitanti dell’Alaska venivano cresciuti in modo severo. Serviva ben più che una voce alta, per agitarli. Riley, sembrava, era un tipo completamente diverso. Fragile e, a giudicare dal suo aspetto, molto sensibile. Lui avrebbe voluto sentirsi frustrato per quello che aveva fatto, per il pensiero che sarebbe tornata a casa – dovunque essa fosse – perché era evidente che non apparteneva all’Alaska, che l’avrebbe lasciata sola in una zona così remota che la maestra d’asilo avrebbe dovuto lavorare due giorni in un edificio e poi fare un viaggio aereo di un’ora per andare a lavorare altrove per altri due giorni. Ma tu non vuoi davvero pensarci, vero, Tadzea? Non voleva, ma non era sicuro esattamente del perché. Poi, il profumo di lei lo inebriò, riempiendogli i sensi di qualcosa di indefinibile. Sapeva di dolce, di intenso e di piccante, come tutte le cose buone della natura. Non è profumo. È semplicemente lei.

Russ sospirò. Le donne fragili, apparentemente tormentate, erano per lui ben lontane dalla norma, ma il profumo di Riley toccò un posto nel suo cuore di cui non aveva mai saputo l’esistenza. Voglio che rimanga. Non c’era una spiegazione razionale di ciò, ma l’animale dentro di lui si affidava all’istinto più che alla ragione. L’istinto diceva che Riley era speciale, e Russ l’accettò senza discutere. Soltanto il tempo avrebbe detto se il suo intuito si sarebbe dimostrato ancora valido, ma dato che avrebbe dovuto farla volare di città in città due volte a settimana, quel tempo sarebbe stato facile da trovare.

***

“Beh, com’è andata?” chiese Russ quando Riley uscì dall’edificio scolastico. Sembrava un po’ scossa… Beh, un po’ più che scossa, si corresse tra sé. Sembrava scossa già all’inizio. Lei gli lanciò un’occhiata oltre la rete metallica che separava il parco giochi dell’edificio scolastico di Lakeville dalla minuscola pista di atterraggio al suo fianco. Lui indicò lo sportello aperto dell’aereo.

Sospirando, Riley si sollevò la borsa sulla spalla, si chiuse la cerniera della giacca e uscì dal cancello principale, girandogli intorno e arrampicandosi sul suo sedile.

“Benissimo, eh?” chiese lui mentre chiudeva lo sportello del passeggero.

Una volta che si fu sistemato sul suo sedile e aveva iniziato ad avviare il minuscolo aereo, lei finalmente rispose. “È andata bene. Quanto può essere terribile una mezza giornata ad organizzare una classe?”

“Sono sicuro che ne rimarrei sorpreso,” disse lui.

“Beh,” ammise lei, “sono piuttosto sicura di aver visto la mamma, il papà, la nonna e la zia del cugino del miglior amico di ogni bambino della mia classe. Ne ho otto sull’elenco e penso di essermi scottata con la colla a caldo più di otto volte, perché la gente continuava a saltar fuori e spaventarmi.” Fissò mestamente le macchie rosse che le rovinavano le dita.

Quella vista spinse Russ a soffocare un inopportuno desiderio di lenire le sue scottature nello stile vecchia maniera. “Beh, è una piccola città. Solo otto bambini in tutto l’asilo? Non c’è da meravigliarsi che vogliano tutti quanti accertarsi che i loro piccoli tesori siano in buone – anche se leggermente bruciacchiate – mani. Qualcuno le ha saputo dire in quali giorni avrà bisogno di me? Hanno detto che sarebbe stata qui due giorni a settimana, ma quali giorni? E come funzionerà, quando insegnerà all’asilo?”

Riley sospirò ancora. “Sembra che funzionerà così: lei dovrà portarmi qui il martedì sera e venirmi a prendere il giovedì sera. Lavorerò qui il mercoledì e il giovedì, quindi resterò a dormire quelle due notti. È tecnicamente un asilo di mezza giornata, solo che si svolge per due giorni pieni anziché quattro mattine o quattro pomeriggi. Farò la stessa cosa a Golden il lunedì e il martedì.”

“Ha un posto dove stare, a Lakeville? Non riesco ad immaginare che ci siano case in affitto, là. Diamine, ci sono a malapena case. Suppongo che abbia trovato qualcosa a Golden, dato che è un po’ più grande.”

Inclinò la testa verso il basso, come annuendo. “Ho un monolocale a Golden. È piuttosto grazioso, e ha un divano letto, quindi se verrà in casa qualcuno, non dovrà vedere le mie lenzuola logore. Ma la cucina è davvero carina. Ha un forno e quattro fornelli – beh, tre che funzionano, il che è sempre meglio che uno solo. Ci hanno anche messo una vecchia tv.”

“Sembra piuttosto interessante,” disse lui, consapevole del fatto che difficilmente avrebbe potuto trovare di meglio e anzi, avrebbe potuto trovare qualcosa di molto peggio. Non che gli affitti non fossero buoni, solo che le proprietà in affitto non erano granché necessarie in una città con meno di 10.000 persone. “E Lakeville?” Che cosa farai in una città di sole 750 persone? “C’è qualcuno che le farà usare la stanza degli ospiti o qualcosa di simile?”

“Sì,” rispose lei con un sospiro, gli occhi incollati al finestrino. Al di sotto, le cime degli abeti rossi e dei pini sembravano cercare di raggiungerli, inframmezzati da cupi macigni che sembravano troll e dall’occasionale luccichio del lago. “I Carroll hanno un figlio al college ad Anchorage, così mi permetteranno di stare lì, nei periodi scolastici.”

Russell fece una smorfia. “Ha conosciuto Nonna Carroll?”

Un angolo della bocca di lei si piegò. “Sì.”

“E?”

“Mi ha chiesto se fossi un lupo mannaro, mi ha avvisata di stare attenta agli alci e agli orsi e ha detto che sarebbe meglio che non fossi una sgualdrina.”

Russ rise. “Sembra perfetto. Una volta, mi ha accusato di essere un lupo mannaro.”

“Lo è?”

Ancora con le battute inaspettate. Quando Riley abbassava la guardia, il suo senso dell’umorismo splendeva come la luce del sole sull’acqua trasparente.

Russ assunse un’espressione ferita. “Io? Un lupo? Dio me ne scampi. Non sarò mai il cane di nessuno.”

La sua battuta la fece ridacchiare, e il suono del suo risolino ebbe proprio l’incantevole qualità che lui si era aspettato. Lei parlò ancora. “Allora, che cos’altro fa, Russell? Aspetterà per tutta la settimana che io abbia bisogno di essere trasportata da una parte all’altra?”

Lui ridacchiò. “Dipende dalla stagione. In estate, faccio volare i turisti sopra queste lande desolate, oppure organizzo dei campeggi. Ho alcune stanze in più in casa mia dove ospito persone per la notte. In inverno, scatto fotografie per riviste sulla natura e siti internet di viaggi. Gestisco anche un sito per una delle comunità di nativi locali.”

“Un tuttofare?” chiese lei.

“Ma esperto di nulla,” rispose lui, concludendo la citazione. Non era vero, ma suonava bene. E, soprattutto, la fece ridere. Lei si spostò e quell’allettante profumo “Riley” s’impadronì di nuovo di lui. Penso che mi piacerà portare in giro questa ragazza… probabilmente, un po’ troppo.

***

Una scheggia di luna argentata raggiunse lo zenit mentre Russ si spostava nudo dalla sua capanna nei boschi. Il freddo non era ancora diventato così forte da colpirlo, anche se, quando lo faceva, lui non sospendeva il suo rituale notturno. Lo ricaricava e gli dava energia. La luce filtrava attraverso gli alberi e lo toccava, risvegliando la sua bestia, spingendolo a liberarsi dell’uomo e scatenare l’animale. Russ non cercava di resistere. Il suo corpo si allungò e si estese, raddoppiando e poi triplicando le sue dimensioni. La sua pelle si ispessì e la sua bocca si allungò verso l’esterno, il suo naso si ridusse ad un cerchio nero su un volto bianco e peloso. Aprì le mascelle potenti, capaci di spezzare le ossa, ed emise un roco e aspro ruggito, facendo tremare le cime dei profumati abeti rossi e dei pini. Sollevandosi sulle zampe posteriori, il massiccio orso polare allungò gli artigli e grattò la corteccia del suo albero preferito, che aveva già riportato diverse ferite grazie a quel suo trattamento. Poi tornò a riadagiarsi sui cuscinetti neri delle zampe e si avviò saltando, con le zampe rivolte verso l’interno, inoltrandosi tra gli alberi. La notte era sua, per correre, cacciare e giocare.

A Russ servirono due ore piene per spassarsela tra gli alberi nel freddo crescente che non aveva più alcun potere su di lui, prima che il suo corpo si stancasse. Mentre affondava nella neve, con la sua mente animale piena di immagini di dorati capelli castani mossi da una gentile brezza autunnale, di tormentati occhi color del whisky che incontravano i suoi e poi si allontanavano nervosamente. Il suo uomo voleva proteggerla, tenerla al sicuro da qualsiasi passato perseguitasse la sua mente, ma la sua necessità di orso era un po’ più pragmatica. Voleva accoppiarsi con lei.

Il pensiero di Riley portò il suo orso ad alzarsi sulle zampe posteriori e ruggì di frustrazione, consapevole che una relazione con la giovane donna sarebbe stata lenta da sviluppare. Poi si accucciò su un mucchio di aghi di pino e chiuse gli occhi, trascinando la sua coscienza profondamente dentro di sé, nel luogo in cui uomo e animale esistevano insieme, in una costante battaglia per la supremazia. Lì, quella tensione generava energia per fare ciò che né l’umano né l’orso avrebbero potuto fare da soli. Lì  poteva toccare le menti degli altri. Nel suo subconscio, poteva vedere, così chiaramente come vedeva con gli occhi, il punto esatto su cui sedeva: una piccola valle nella foresta, dove la luna argentata lo immergeva in una luce ghiacciata. In quel luogo, ricordava il suo essere umano, anche se molto più grande e grosso, con i muscoli animali che tendevano la sua pelle umana. Raggiungendo la sua coscienza, effettuò un’azione che non aveva effettuato per decenni, un’azione che avrebbe potuto metterlo in un sacco di guai, se qualcuno si fosse opposto. Le stelle scesero dalla coltre di velluto nero del cielo notturno e gli si avvicinarono, puntini di luce come lucciole immobili. Tese la mano. “Verrai da me?” chiese in un basso brontolio. “Condividerai i tuoi sogni con me, Riley Jenkins? La scelta è tua.”

Un piccolo astro scese dal suo posto e si avvicinò con cautela. Lui sorrise. Timida nel sonno così come lo è da sveglia. “Puoi rifiutare,” disse all’astro. “È una tua scelta. Verrai, Riley?”

L’astro tremò e poi si rifugiò nella sua mano, dove si posò delicatamente, caldo e pulsante. La foresta si spostò e si dissolse in una striscia di verde. Ora, Russ era in piedi in un piccolo bungalow in una camera degli ospiti che era stata arredata con un piccolo salottino e una libreria. Legno scuro riscaldava il pavimento e mensole di colore simile adornavano l’intonaco color crema delle pareti. Ogni mensola gemeva sotto il peso di antichi tomi rilegati in pelle i cui titoli Russ, nella sua condizione mista, non era più in grado di leggere, anche se il profumo della pelle rese la sua parte animale desiderosa di mordicchiare le rilegature. In una poltrona bordeaux imbottita, un uomo con pochi capelli color ferro e occhiali con montatura di corno sedeva con una bambina in grembo. La ragazzina, che non poteva avere più di nove anni, indossava una camicia da notte rosa. I suoi chiari capelli castani erano stati raccolti in uno chignon da ballerina. I suoi occhi color del whisky scrutavano le pagine di un libro appoggiato davanti a lei.

“Fine,” disse l’uomo.

“Papà,” chiese la ragazzina, voltandosi così da poter guardare dietro di sé. “Perché la ragazza ha tradito Tremotino? Lui ha fatto quello che lei voleva. Perché non ha detto semplicemente al principe la verità sin dall’inizio?”

“Se ci pensi, tesoro, troverai la risposta,” rispose lui.

La sua piccola fronte si corrugò mentre pensava. “Aveva paura che il principe si arrabbiasse per la bugia di suo padre. Ma perché suo padre ha mentito su di lei? Le ha causato così tanti problemi. Non avrebbe dovuto vantarsi. Il modo in cui la storia è scritta… Sembra che mentire e tradire siano i modi per ottenere ciò che vuoi.”

“Sei più saggia della tua età, Riley. No, non suggerisco di imparare lezioni di vita da Tremotino, o da qualsiasi altra fiaba, a meno che non ti fermi a pensare se ciò che sembrano insegnare sia vero. Però, forse, dovresti dare ascolto a questo avvertimento: bugiardi e imbroglioni sono ovunque. A volte, le persone oneste vengono ferite da loro. In questa storia, è difficile ritenere qualcuno positivo. Cercano tutti di ingannarsi l’un l’altro, e vince la creatura più imbrogliona.”

“È così, nella vita reale?” chiese Riley, e la diffidenza ferita già percepibile nel suo tono fece torcere il cuore di Russell.

“A volte,” ammise suo padre. Abbassò lo sguardo sul braccio di sua figlia, con espressione triste. Un profondo livido circondava il polso della ragazzina come un macabro braccialetto. Il modo in cui lei si spostò ebbe qualcosa di addolorato, di sofferente.

“Dov’è Danny?” chiese, come per cambiare argomento, anche se l’espressione sui visi di entrambi disse a Russ che niente era davvero cambiato.

“Se n’è andato, tesoro mio,” disse suo padre, e la ragazzina si rilassò, lasciando cadere le spalle. “Lui ha fatto… delle cose cattive, e ora deve passare un po’ di tempo a pagare per esse.”

“Quando tornerà?” chiese la bambina con un’esitazione straziante.

“Non lo so,” rispose suo padre. “Potrebbero lasciarlo andare prima che siano passati tanti anni, ma non sarà mai più il benvenuto in questa casa.” Fece una pausa, con le dita macchiate di inchiostro che sfregavano leggermente il polso di sua figlia. “Mi dispiace, Riley.”

Riley non parlò. Invece, si girò in grembo a suo padre e gli cinse il collo con le braccia, con le spalle che tremavano.

Sconvolto per essere partecipe ad un tale ricordo privato, Russ si ritirò… o cercò di farlo. Il sogno sembrava trattenerlo, impedirgli di ritirarsi, qualcosa che non aveva mai sperimentato prima.

La scena cambiò, portandolo con sé. Una strisciata marrone e bordeaux sfrecciò accanto a lui e all’improvviso Russ si ritrovò in uno stranissimo posto. Sembrava una caverna di ghiaccio, ma completamente priva di struttura, ogni blocco perfettamente liscio con soltanto un minimo accenno di giunture. La stanza era abbastanza alta perché lui ci potesse stare, ma la sua testa sfiorava il soffitto. Scomodo in quello stretto, angusto spazio, cercò una porta, ma non ne trovò alcuna. Era intrappolato dentro una bianca bolla di ghiaccio. L’orso polare di Russell ruggì di frustrazione.

Un leggero suono di risposta attirò la sua attenzione verso i suoi piedi. Riley era accucciata sul pavimento ghiacciato di fronte a lui, con le ginocchia tirate al petto. Il suo viso, nel mondo dei sogni, aveva soltanto la metà della bellezza che aveva nella realtà. Sembrava insignificante, slavato e teso, e l’odore della paura oscurava il suo attraente profumo naturale femminile.

“Perché siamo qui?” le chiese. “Cos’è questo posto?”

“Ti sei invitato tu,” rispose lei. “Non so che cos’è. Forse puoi dirmelo tu.”

“Sembra una prigione,” disse lui. “Lo sembra proprio. Sei intrappolata qui, Riley?”

Lei annuì. “Non so come uscire. Ho passato molte notti bloccata tra il passato e questo igloo, e non so come liberarmi. Mi sta ammazzando, Russ; non riesco mai a riposare. Ma perché tu sei qui?”

“Mi ci hai portato tu,” rispose lui.

“No,” insistette lei. “Sei venuto a cercarmi. Ho sentito la tua voce che mi chiamava attraverso il ghiaccio. Tu volevi venire.”

“Sì,” ammise lui. “Perché tu mi hai attirato. Dal momento in cui ti ho vista, ho capito.”

“Che cosa hai capito?” chiese lei. “Che cosa sei?”

Lui rise, di una risata bassa e asciutta, e senza senso dell’umorismo. “Non sei pronta per una risposta.”

Lei abbassò la testa. “Dopo quel ruggito, sono sicura che sia vero. So che non sei umano. Forse è sufficiente, per ora.”

“Non lo sono,” confermò lui. “eppure lo sono. Se riesci ad accettare già tutto questo, per ora di certo è sufficiente. Abbiamo tempo, Riley. Tempo da passare insieme sul mio aereo. Possiamo parlare e scoprire se e quando sarai pronta per sapere di più. Ma voglio che tu sappia una cosa. Qualunque cosa succeda, quando sei con me, sei al sicuro.”

“Non sono mai al sicuro,” rispose lei, la voce buia e triste, gli occhi incollati al pavimento. “Mai.”

“Riley,” borbottò lui mentre l’orso lottava per prendere il controllo.

Lei sollevò il viso e quegli occhi ammalianti lo catturarono. “Credo di essere al sicuro con te, Russ. Credo che non mi faresti del male, almeno. Me lo dice il mio cuore. Ma là fuori…” indicò col braccio i muri lisci dell’igloo.

Russ tese una zampa, imprecando alla vista delle proprie unghie, non più della forma di quelle umane, smussate e squadrate. Sulla punta di ogni grosso dito c’erano lunghi artigli incurvati. Gli occhi di lei si spalancarono e sussultò. Tempo, Tadzea. Devi darle tempo.

Qualcosa toccò la sua coscienza. Calore. C’era abbastanza calore da sciogliere il ghiaccio attorno a loro, eppure rimaneva solidamente ghiacciato.

“Arriva il mattino,” informò la ragazza rannicchiata. “Sento la luce del sole. Se verrò ancora da te, mi lascerai condividere i tuoi sogni?”

“Lo farò,” rispose lei. “Questa prigione è così solitaria. Sarebbe d’aiuto condividerla con qualcuno.”

“Allora tornerò, Riley.”

Lei annuì.

Il calore aumentò, portando Russ fuori dall’igloo di Riley. Aprì gli occhi ed era ancora un orso, sdraiato in uno spiazzo vicino alla sua isolata capanna. Anche il freddo mattino dell’Alaska sembrava caldo sotto la sua spessa pelle bianca. Viveva troppo a sud per poter stare bene, soprattutto in inverno. Ma accettava stoicamente il sole, sapendo che la neve stava per arrivare.

Mi chiedo come reagirà Riley al freddo… Mi chiedo se ricorderà il sogno.

Russell non aveva risposte, tranne per il fatto che si sarebbe sentito molto più a suo agio senza il pelo. Riprendendo la sua forma umana, tornò a casa, strisciando tra gli alberi nel suo giardino per evitare di essere visto nudo dal suo unico vicino, che stava raccogliendo le ultime zucche da una lussureggiante pianta. Riuscì a malapena a scivolare oltre la porta e tirare le tende. Poi, al sicuro nella sua privacy, si stirò. Sebbene molto più piccolo come uomo che come orso, allungandosi completamente, le sue mani tese sfioravano le travi del soffitto della sua capanna. Guardò verso l’alto, le travi, apprezzando la vista del grezzo arco di legno sopra di sé. La sua pelle ramata sembrava pallida contro l’oscurità, e i suoi muscoli solidi si incurvavano in ogni arto. C’è molto di me, pensò, gli occhi che correvano lungo le curve scolpite del suo petto e del suo addome, delle sue cosce piene. Il suo sesso, eretto per il sonno e per il suo incontro nei sogni con Riley, si ergeva spesso e forte in mezzo ai riccioli argentati del suo inguine. Mi chiedo che cosa ne penserebbe Riley. Ridacchiando, Russ si avviò verso il bagno per farsi una doccia.

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