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Il Custode

Il Custode


Il Custode - Estratto del libro

Capitolo 1

Selene Johansen si chinò e sollevò una pesante scatola di cartone. La lunga treccia bionda le scivolò sulla spalla, pendendo sul cartone, l'estremità disegnava ghirigori nello spesso strato di polvere. Sollevò la scatola, e il contenuto sbilanciato all'interno si mosse scomodamente. Reggendo il suo carico, percorse il pavimento di legno scricchiolante verso la porta della cameretta rosa e verde. Dovette farsi da parte, mentre la sua amica Maggie si fiondava nella stanza, la coda di cavallo nera che ballonzolava, intenta a raccogliere un altro carico.  Restano un paio di scatole.

Mentre Selene usciva dalla porta dietro Maggie, diretta lungo il breve corridoio color terracotta, le sue scarpe da ginnastica facevano scricchiolare le assi color miele.  Per quanto erano sporche, non voleva fare un pasticcio sul tappeto verde brillante al centro del corridoio.  Camminando lentamente, i suoi pensieri vagarono verso la ragazza che stava aiutando con il trasloco, e a come si erano conosciute.

Era stato otto anni prima, quando Selene ne aveva solo venti: era idealista e voleva usare il suo dono per aiutare la gente.

"Ehi, Johanses, sei pronta?" chiese Bill, alzandosi dalla scrivania ingombra di carte, e facendo cadere una valanga di documenti accartocciati, una spillatrice e una tazza di caffé. Selene fece una smorfia. Non sono così sprovveduta da criticare un superiore, ma i suoi modi sciatti mi danno davvero fastidio.

Rimangiandosi un commento sui documenti riservati, ora resi illegiibili dal liquido marrone, lo seguì fuori dalla stnaza e lungo il corridoio dove il suo primo cliente la aspettava.

"È una ragazza perfetta per farti le unghie, piccola", le disse, facendole digrignare di nuovo i denti.  Per non farsi sfuggire una risposta tagliente sulle molestie sessuali, studiò l'arte astratta appesa alle pareti bianche abbaglianti su una moquette grigia industriale. Triangoli rossi e gialli.  Questo posto è tutto colori sgargianti e angoli.  Come ci si può rilassare in un posto del genere?

"Perché, Bill?"  Si gettò la criniera biondo-argento su una spalla, e desiderò essersi svegliata prima abbastanza da poterli raccogliere.  Nessuno mi prende sul serio con tutta questa roba che pende.

"È giovane come te.  Voialtre dovreste avere molto in comune".

Voialtre? Sai che vivi in Minnesota, idiota? Non lo dice nessuno, qui. Scosse la testa e lo seguì nella sala consulenze. Ad angolo retto, contro le pareti, c'erano due divani troppo imbottiti, di una leggera sfumatura blu. Sopra di questi, dalla finestra, si vedeva il cielo invernale color acciaio, e poteva scorgere una betulla di fiume spoglia, la corteccia dorata in contrasto con i colori pallidi di febbraio.

Una ragazza con i capelli lunghi quasi quanto quelli di Selene era seduta sul divano.  Selene sorrise.  Può essere un punto di partenza per una conversazione, anche se i suoi capelli sono nero-blu, non biondi. Si voltò, rivelando la pelle color rame e gli zigomi scolpiti di una Nativa Americana. Che bella ragazza. Tuttavia, non aveva per niente l'età di Selene. A guardarla, andava a malapena alle superiori. Indossava un paio di jeans sbiaditi e un maglione viola. Gli occhi erano arrossati dal dolore.

"Ciao", disse Selene, scegliendo un tono neutrale e comprensivo. Tese la mano. La ragazza la guardò diffidente, aggrottò le sopracciglia, e poi acconsentì a stringergliela.

Immediatamente, un fiume gelido di dolore turbinò su Selene in torrenti irrefrenabili, al limite della disperazione. Le lacrime le facevano bruciare gli occhi, e il respiro tremante le si mozzò in gola. "Mi dispiace tanto", disse, piano, sapendo che non significava nulla.

"Perché?" ghignò la ragazza. "Sai che vuol dire perdere la propria madre?"

Selene annuì. "Sì. Ma non così".

"E come?" Un accenno di curiosità penetrò il tono e l'espressione della ragazza.

"La mia è morta quando ero molto piccola. Non l'ho mai conosciuta. E non è stato il cancro".

La cliente strinse gli occhi, confusa e furente. "Come fai a saperlo?"

"È un dono che ho", ammise Selene, sopprimendo il desiderio di contorcersi per il disagio. Mi abituerò mai a dirlo alla gente?

Gli scuri e rabbiosi della ragazza si dilatarono. "Dono? Puoi leggermi nella mente?" Tirò via la mano. "Mostro. Non toccarmi!"

"Ok", disse Selene, cercando di mantenere la calma nonostante avesse sentito - di nuovo - l'insulto che odiava di più. "Non lo farò. Come ti chiami?"

"Maggie".

"È un diminutivo di Margaret?" chiese Selene con gentilezza.

"No. Solo Maggie. Maggie Price".

"Sono Selene Johansen. Ti dispiace se mi siedo?"

Maggie scrollò le spalle e sprofondò nel divano. Sotto la supervisione di Bill, Selene passò l'ora successiva a cercare di usare tecniche di reazione con Maggie, per aiutarla a scendere a patti con la sua perdita.

Alla fine della sessione di un'ora, si sentì bussare alla porta. Selene si alzò per rispondere, e vide qualcosa che le tolse il fiato. Un uomo, con capelli e occhi scuri, la guardava con un'espressione di dolore simile a quella della figlia, ma non con la stessa rabbia. Lui e Selene si guardarono negli occhi per un momento infinito, condividendo un'empatia al di là delle parole. Selene non gli offrì la mano. Non ce n'era bisogno.

E quello fu l'inizio. Il contatto frequente aveva fatto sparire l'animosità, e ora Maggie era diventata una delle poche amiche di Selene a non essere un poliziotto. Mentre la ragazza più giovane maturava, smise di diventare una ex cliente con cui Selene aveva mantenuto i contatti, e divenne un'amica. Ora, otto anni dopo, Maggie ne aveva ventidue, e la differenza di sette anni tra loro non sembrava più significativa.

Selene arrivò al pick-up bianco e arrugginito e poggiò la pesante scatola nel cassone quasi pieno. Per fortuna abbiamo quasi finito, qui.

Guardò il giardino piccolo e ordinato. L'erba ordinatamente tagliata cedeva il passo a una fila di cespugli accuratamente potati lungo il davanti della casa. Una vecchia quercia metteva in ombra le finestre, attraverso le quali poteva a malapena vedere la confortevole zona salotto. Le pareti bianche e pulite della piccola casa ad un piano erano uguali a quelle delle vicine più grandi, per aspetto se non per dimensioni. Sorrise. Sembra una casa-bimba che gioca con i fratelli più grandi.

"Andiamo, Selene", la chiamò Maggie, dal vano della porta. "Non abbiamo tempo. Smettila di annusare i fiori e mettiti al lavoro".

Selene sorrise all'impazienza della sua amica. Maggie ha ragione su una cosa, però, la fragranza inebriante dei lillà si merita un po' di attenzione.

Mentre Selene rientrava in casa, il suono sintetizzato di un violino, proveniente dalla sua tasca, frenò la sua avanzata attraverso il salotto. Prese il cellulare dalla tasca e sprofondò sul divano per rispondere.

"Non osare!" esclamò Maggie, strappandole il telefono di mano e facendo scorrere il dito sullo schermo.

"Ehi!" protestò Selene, balzando in piedi. "Probabilmente era una chiamata di lavoro".

"E tu non sei reperibile", ritorse Maggie, imperturbabile. "Il destino dell'universo non dipende da te".

Selene scosse la testa. "Te l'ho già detto. Sai quanto è importante per me, fare quello che faccio. Grazie a me, delle vite che potrebbero essere perse vengono salvate. Sono importante, Maggie".

"Sì, lo capisco", replicò Maggie, restituendole il telefono, "ma sei anche una persona. Ti meriti un giorno libero, di tanto in tanto, e hai solo un fine settimana al mese in cui non sei in reperibilità. Ti prego, non rinunciarci per un lavoro. Ci sono altri poliziotti, Selene. Da' ad uno di loro la possibilità di brillare". E con quello, andò via.

Combattuta, Selene fissò lo schermo del cellulare. Maggie ha ragione, le ricordò una vocina nella sua testa. Hai fatto turni tra le dieci e le dodici ore ogni giorno, nelle ultime tre settimane. Sentendosi improvvisamente determinata, Selene rimise il telefono in tasca e tornò nella stanza da letto per un'altra scatola.

Maggie la superò, portando una scatola di... qualcosa, con apparente facilità. Questo non significava che fosse leggera. Maggie lavorava come allenatrice, ed era incredibilmente forte. Si notava dalla figura snella e tonica, le braccia scolpite, e lo stomaco perfettamente piatto. Il suo viso, ovviamente, era abbinato alla figura. I suoi zigomi esotici e il naso forte risaltavano, I capelli scuri e lucidi, oggi legati per praticità, le scendevano ordinati fino alle spalle.

Selene tornò alla stanza da letto e prese la penultima scatola. Il suo peso le fece perdere per un attimo l'equilibrio. Quindi è qui che sono finiti i libri di anatomia e fisiologia che Maggie ha conservato dopo il college.

"Ricordami perché lo stiamo facendo", si lamentò scherzosamente, mentre Maggie entrava nella stanza e prendeva l'ultima scatola. "Hai sempre detto che aveva senso che una donna single stesse a casa, soprattutto dato che volevi fare compagnia a tuo padre".

Maggie scrollò le spalle. "Non lo so", rispose. "Sentivo di aver bisogno di cambiare. Sembrava il momento buono per fare qualcosa di diverso. Ora sta' zitta e muoviti. Questa scatola è pesante".

Probabilmente sono manubri, pensò Selene. Grata per le ore di allenamento che aveva passato ogni settimana nella palestra del dipartimento di polizia, portò la scatola sul cassone del pick-up arrugginito di Maggie, con lei che la seguiva con l'ultimo cartone.

"Signore", una voce calda e amichevole alle loro spalle, "prima che andiate via, volete qualcosa da bere?"

Selene si voltò. Brandon, il padre di Maggie, era dietro di loro, e reggeva due bicchieri di quella che poteva solo essere la sua limonata fatta in casa.

"Grazie, papà", disse Maggie, prendendone uno e scolandoselo in tre sorsi.

"Sì, grazie", fece eco Selene, timidamente. Mi è sempre piaciuto il padre di Maggie, forse anche troppo, ma non mi sono mai sentita del tutto a mio agio con lui.Non sono sicura che sappia del mio dono, ma spero di no. Voglio che almeno una persona mi creda normale, e se potesse essere Brandon Price, be', sarebbe perfetto.

"Non riesco a credere che abbiate già finito", commentò, "vi avrei aiutate".

"Credo tu stia diventando lento con la vecchiaia, papà. Noi pollastre giovani siano troppo veloci, per te".

"Scusa, sono stato trattenuto".

"Sai, papà, avresti potuto dire alla nonna che l'avresti richiamata".

"Sì, certo, Maggie. Se l'avessi fatto, me l'avrebbe rinfacciato per un mese".

"Vero". sogghignò Maggie. "Non fa niente, papà. Ci abbiamo pensato io e Selene".

Gli occhi scuri di Brandon incontrarono brevemente quelli di Selene.

Lei distolse lo sguardo, studiando le aiuole con grande interesse. Per coprire il movimento nervoso, prese un sorso di limonata. Ne amava il sapore, aspro e rinfrescante, e, assaporando la bevanda fresca, sbirciò Brandon e Maggie, insieme nel vialetto. Si somigliavano tanto. Erano entrambi alti, con lucidi capelli scuri, zigomi scolpiti e caldi occhi scuri. Guardandoli insieme, Selene si chiese brevemente chi fosse suo padre.

Non serve a niente commiserarsi. La sorte ha deciso che dovessi vivere senza famiglia e, onestamente, ti avrebbero distratta dal lavoro. Scuotendo mentalmente la testa, Selene mandò giù il resto della limonata e porse il bicchiere a Brandon con un sorriso timido. Lui ricambiò il sorriso, i denti bianchi in contrasto con la pelle color rame. Selene sentì un fiotto di calore al viso, e sperò di non star arrossendo.

"Posso offrire la cena a voi signore?" suggerì lui. Selene incontrò di nuovo i suoi occhi, e lui le fece l'occhiolino. Questa volta, sapeva di essere arrossita.

"Non ho tempo, papà", replicò Maggie. "Devo ancora scaricare questa roba all'appartamento".

Selene cercò di mandar giù il disappunto. Dopo una giornata di duro lavoro, la cucina deliziosa di Brandon sarebbe stata il premio perfetto.

"Forse a Selene farebbe piacere mangiare con te, però", continuò Maggie, distogliendo Selene dalle proprie contemplazioni per la sorpresa.

"Non vuoi che ti aiuti dall'altra parte?" chiese.

"Non proprio", replicò Maggie, con uno sguardo impertinente, "Ho già sentito abbastanza sospiri da parte tua. So dove voglio le mie cose, e non voglio passare i prossimi sei mesi a cercarle perché a te è venuta una 'idea migliore' su dove dovrebbero andare!" Si mise le mani sui fianchi e sorrise.

Selene sorrise a sua volta. "Se tu avessi un minimo di logica in quel tuo cervellino", la provocò di rimando, "ti renderesti conto che le ho messe nel posto migliore e le cercheresti subito lì".

Maggie scosse la testa. "Sai, Selene, saresti una pessima coinquilina.

"Perché credi che viva da sola?" replicò Selene. Le due donne risero.

"Quindi, Selene", disse Brandon, richiamando la sua attenzione, "ti andrebbe di restare a cena? Ho un petto di pollo ripieno e dei funghi che chiamano il tuo nome".

A Selene venne l'acquolina in bocca all'idea di cibo che non era surgelato e impacchettato col cellophane. Dovresti andare a casa. Non sai mai quando potrebbero chiamarti per lavoro.Però... è Brandon. "Certo", disse, sorridendo.

Maggie salutò con la mano, saltò sul pick-up malandato e partì, lasciando Selene e Brandon a guadar ondeggiare le scatole impilate in maniera precaria.

"Pensi che arriverà con tutta la sua roba intatta?" chiese Selene, mentre il pick-up scompariva dietro l'angolo.

"Sarà fortunata se resta tutto nel pick-up", replicò Brandon.

Risero entrambi, diretti verso la casa. Lui la scortò alla porta e la fece entrare, tenendole una mano sulla schiena. Il mignolo di lui le toccava il centimetro di pelle nuda tra la maglia e i jeans, e Selene sentì i suoi sentimenti riversarsi su di lei. In gran parte si trattava di tristezza, ma poteva sentire anche del sollievo, e non era perché sua figlia era andata via. Sono felice che Selene sia rimasta. Non sono pronto a cenare da solo. Sono stato solo così a lungo...

Lei si allontanò in fretta, detestando ficcanasare tra i pensieri della gente innocente. Vorrei poterlo bloccare, spegnerlo e usarlo solo al momento appropriato, ma, purtroppo, non ho questa fortuna. Ogni volta che la mano di qualcuno le toccava la pelle nuda, sapeva esattamente cosa quella persona pensava.

"Non sono una compagnia adatta", gli disse, guardando i propri vestiti sporchi.

"Non ti preoccupare", disse Brandon, rassicurante, "non caccio via gli ospiti per un po' di polvere. Inoltre, viene da questa casa, tanto per cominciare. Perché non vai a darti una ripulita? Apparecchio la tavola".

Selene andò rapidamente in bagno. Data l'età della casa, era l'unico, ma la sua grandezza compensava ampiamente la cosa. In piedi davanti al mobile da toeletta con lo specchio e due lavandini, spazzolò via quanto più sporco poté dai vecchi jeans e dalla t-shirt sbiadita, odiando il fatto che si depositasse sulle mattonelle bianche e nere del pavimento. Si lavò le mani con una saponetta profumata. L'aroma di erbe e fiori della prateria la avvolse, amichevole, accogliente. Mi chiedo dove trovi questo sapone.Non è in nessuno dei negozi in cui l'ho cercato.

Si schizzò dell'acqua sul viso coperto di polvere. Niente trucco, e sembrava una ragazzina. Le lievi lentiggini che fingeva di non avere risaltavano sulla sua pelle, che sembrava più pallida del solito. Sai, sembri malaticcia. Aggrottò le sopracciglia.

Be', mi sento bene, ed essere un po' pallidi non è preoccupante. Scrollando le spalle, Selene uscì dal bagno. Superando lo stretto corridoio in direzione della cucina, si sedette al tavolo rotondo in un angolo. Guardò Brandon, che le volgeva le spalle, accanto ai fornelli, mentre rimestava qualcosa in una grossa pentola. La zona di lavoro cavernosa, coperta di granito lucido oro e nero, era un palcoscenico impressionante per le abilità culinarie di Brandon.

Le si avvicinò, reggendo due piatti e posandone uno davanti a lei, per poi sedersi, ispirando con apprezzamento. Il petto di pollo era ripieno di ricotta e spinaci, servito con salsa di funghi, riso e asparagi al vapore. Prese una forchettata di carne tenera, chiudendo gli occhi per concentrarsi sul sapore succulento. Delizioso.

"Sai", disse a Brandon, dopo diversi bocconi, "se dovessi decidere di rinunciare al lavoro di consulente, potresti fare una fortuna lavorando in un ristorante".

Brandon sorrise, poggiando il mento sul pugno. "Grazie", disse. Poi, a voce più bassa, aggiunse, "Sono felice tu sia rimasta. È sempre piacevole cucinare per qualcuno".

"Ne sono sicura", replicò Selene. "È per questo che io non mi impegno. Con nessun altro da nutrire, perché prendersi il disturbo?"

Lui la guardò, con quegli occhi marroni che le scioglievano il cuore, e non disse nulla, ma la sua espressione la diceva lunga. Non aveva bisogno di essere una potente sensitiva per leggere quel particolare pensiero.

"È un inferno stare da soli, vero?" chiese, piano.

Lui abbassò il mento, mostrandosi appena vulnerabile. Selene gli mise una mano sulla manica della maglia, il suo modo di dare conforto e rispettare la sua privacy. Lui fece scivolare il braccio sotto la sua mano, finché i loro palmi non si toccarono. Selene cercò di sottrarre la propria mano, ma lui chiuse le dita, chiudendola nelle sue emozioni.

"Ti prego", disse lei, piano, "non dovresti farlo".

"Non vuoi sapere?" le chiese.

Selene guardò il tovagliolo. Quindi sa che sono un mostro. "Sto cercando di darti la tua privacy", gli disse.

"E io scelgo di condividere. A meno che tu non voglia..."

Non voler condividere pensieri con Brandon? Pensieri offerti liberamente?"No, ne sono felice. È bello sentire emozioni normali da qualcuno, per una volta".

Intrecciò le dita alle sue, e lasciò che i suoi sentimenti si riversassero su di lei. Dolore, perdita, solitudine e un po' di paura. È vero che non vuole stare solo. Chiuse gli occhi, e poi li riaprì per guardare in quelli di lui. Inconsciamente, si erano sporti l'uno verso l'altra, più vicini di quanto lei ricordasse fossero mai stati.

Dio, è bello, e le sue labbra piene sono così vicine. Devo muovermi solo di qualche centimetro... cercò di ricordare che lui non voleva stare da solo, che erano le circostanze e non lei a renderlo vulnerabile. Ma nemmeno io voglio stare da sola. Si fece avanti, ma poi si fermò, troppo timida per continuare. La sua attenzione era concentrata sulle sensazioni che si muovevano in lei attraverso le loro mani unite.

Delusione? Spalancò gli occhi. Lui abbassò di nuovo il mento, annuendo appena. Discreto. Quasi impercettibile, ma lei lo aveva visto. Le guance le si infiammarono, e abbassò lo sguardo per un attimo. Le toccò il mento con la mano libera, e la doppia dosa di sensazioni la sopraffece. Le sollevò il volto, finché i loro occhi non si incontrarono di nuovo. Poteva sentire la domanda pulsare dentro di lei da entrambi i lati. Lo vuole anche lui.

Non può sentire i miei pensieri, rifletté. Dio, come fanno quelli che non sono sensitivi a comunicare?Brandon non saprà cosa voglio finché non dico o faccio qualcosa di ovvio. Capirlo infiammò il suo coraggio. Imitando il suo cenno, chinò il volto sulla sua mano e gli baciò il palmo.

Sorpresa, sollievo e un po' di nervosismo. Lui si mosse verso di lei, e premette piano le labbra contro le sue. Fu un tocco leggero, come quello delle ali di una farfalla. Così lieve. Selene chiuse gli occhi e sollevò il viso, in un invito vecchio come il tempo. Lui ricambiò. Un altro tocco, poi un altro. Lei gli lasciò andare la mano, in modo da potergli passare le proprie intorno al collo. La sua lingua le sfiorò le labbra. Le aprì, lasciando che l'assaggiasse.

Improvvisamente, in modo inaspettato, a Selene sembrò che le luci si spegnessero. Ad un certo punto, durante quel bacio stupefacente, lui le aveva tolto le mani dal viso. Nel momento in cui le sue mani non le toccavano più la pelle, cingendola alla vita e attirandola verso il suo corpo, Selene perse il contatto con i suoi sentimenti. Senza quell'intimità inebriante ma falsa, la realtà la colpì come pioggia gelida. Che diamine sto facendo? Bacio il padre della mia migliore amica? Dio santo, gli sono quasi seduta in grembo. Si scostò, respirando pesantemente.

"Che?" chiese Brandon. "Cos'è successo?"

"Che stiamo facendo?" chiese lei, incredula dell'essere stata sedotta a rivelare così apertamente il suo segreto.

Lui batté le palpebre. Il passaggio dalla passione alle domande nervose era stato troppo rapido. "Ci commiseriamo", disse, infine.

"Tutto qui?" Oh Dio. Non significava nulla. Chiuse gli occhi, delusa, e si voltò.

La sua mano sul mento la costrinse a guardarlo di nuovo. Con quel tocco, arrivò un lampo di qualcosa di intenso, che non ebbe il tempo di interpretare. Poi, le sue dita si ritirarono. "Se è quello che vuoi, ma..."

"Ma?" Prese fiato.

Lui le tese la mano. "Non so come dirlo".

Lei deglutì, rendendosi conto di quello che non aveva capito. Sta usando il mio dono per comunicare con me. Non l'aveva mai fatto nessuno, prima. Nervosa, anche se non era certa del perché, Selene gli toccò il palmo con i polpastrelli. Un contatto così minimo rendeva i suoi sentimenti poco più di un'eco, ma udibili. Sono interessato da un po', persino attratto. Mi piaci. Non sapevo da dove cominciare, ma il trasloco di Maggie mi ha intristito, e la tua empatia straordinaria ha sciolto le mie riserve. Voglio il tuo conforto, ma anche la tua compagnia, e non solo perché mi sento solo e tu sei qui. Ti voglio, Selene.

Selene smise di trattenere il fiato. Brandon è interessato a me?Oh, wow. Si lasciò invadere dalla comprensione, inspirando il suo profumo mentre catturava i suoi pensieri con le dita. Frena, no, non posso sguazzare nei suoi sentimenti come un mostro.Dobbiamo farlo da persone normali. "Possiamo sederci da qualche parte dove stiamo più comodi e parlarne? Cioè, usare le parole".

"Certo", disse lui. Cercò di prenderle la mano, ma lei fece resistenza, così lui gliela poggiò sulla schiena. Entrarono in salotto e sedettero, fianco a fianco, sul divano.

"Penso che dovresti fare un passo indietro e dirmi che cosa sta succedendo", disse Selene, usando il tono neutro che usava spesso durante gli interrogatori.

"Non c'è molto da dire", rispose Brandon, la voce bassa ma intensa. "Metterlo in parole sarebbe come cercare di spiegare il vento. Non ne ho le capacità. E poi, hai sentito tutto, no?"

"Sì, ma non è questo il punto", insisté. "Non è così che devono andare queste cose".

Brandon scrollò le spalle. "Chi se ne frega dei 'dovrebbero'? Sei unica. Perché non dovremmo cominciare in modo unico?"

Unica. Non stramba. Come suona bene. "Stiamo iniziando qualcosa?" Il cuore le iniziò a martellare quando lo chiese.

"Possiamo, se tu lo vuoi", disse lui, e, dopo aver tratto un respiro profondo, aggiunse, "Io so di volerlo".

Lo vuole? Oh, quanto è completamente e inaspettatamente perfetto.Mi è mai capitato di avere così facilmente qualcosa che volevo? Può essere davvero così facile? No, c'è dell'altro di cui preoccuparsi. "E Maggie?"

Brandon aggrottò appena le sopracciglia. "Che c'entra? Mi perseguita da anni, perché inizi a uscire di nuovo".

"Non credo di essere la persona che aveva in mente", sottolineò Selene.

Lui sollevò un angolo della bocca, riconoscendo la situazione imbarazzante con un ghigno privo di divertimento. "Si adatterà. Maggie è un'adulta ora. Sta andando avanti con la sua vita. Perché io non dovrei fare lo stesso?"

"Ma..."

"Ascolta", le disse Brandon, impaziente, "se non sei interessata, dillo e basta. Preferirei saperlo, piuttosto che restare col dubbio".

"Non ho detto di non essere interessata", lo rassicurò Selene. "Semplicemente non me l'aspettavo".

"No?" Le passò un dito sulla guancia, mandandole un lampo di divertimento. "Mi sono immaginato tutti quei sorrisi timidi, gli sguardi civettuoli? Ho sognato il tuo interessamento perché era quello che volevo vedere? Non era quello che sembrava, da quel bacio".

Selene ingoiò la saliva. "Non te lo stavi immaginando, ma non ho mai pensato che la mia cotta infantile avrebbe portato a niente. Eri una fantasia attraente, qualcosa che mi scalda..." le si mozzò la voce e si fece rossa, "quando sono sola".

Uno sguardo di orgoglio maschile si disegnò sul volto di Brandon. "E perché i tuoi sentimenti non avrebbero dovuto portare a niente?" chiese, continuando a passarle il dito sulla guancia. Selene chiuse gli occhi, rilassata da quel tocco.

"Non l'hanno mai fatto", disse, senza emozione. Non voleva lagnarsi, ma semplicemente fare un'affermazione, anche se su uno dei fatti più scoraggianti della sua vita.

Come se fosse incapace di trattenersi un altro istante, Brandon stinse fra le braccia la figura snella di Selene.  "Il mondo dev'essere popolato da idioti. Mi darai una possibilità, Selene? Andremo lentamente finché non sarai a tuo agio. Ci proverai?"

Selene ci pensò per un attimo. Mentre il suo istinto e ogni terminazione nervosa avrebbe voluto urlare di sì, la parte analitica della sua mente, che non taceva mai, le ricordò quanta pressione le veniva dal suo lavoro, e come divorasse tutto il suo tempo.

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