Gente Di Mare
Gente Di Mare - Estratto del libro
Prologo
Quale adulto non possiede ricordi di infanzia legati al mare a cui è teneramente affezionato?
Tutti quanti ci siamo stati da bambini almeno una volta nella vita: poteva essere una frenetica cittadina sulle coste del Galles con un parco giochi e tanto zucchero filato, un villaggio turistico nel nord con le luci che illuminavano il lungomare e la spiaggia di ciottoli, un porto sonnacchioso della costa meridionale conosciuto per le merende a base di pane, burro e marmellata e le passeggiate a dorso d'asino. Era una destinazione gettonata, il mare: sia per le gite di un solo giorno, quando viaggiavamo nel retro delle macchine dei nostri genitori insieme ai cestini per i picnic e il cane, sia per le vacanze più lunghe, quando ci permettevano di spendere qualche manciata di spiccioli in souvenir o in sala giochi.
Da bambino fremi dall'eccitazione di visitare questi luoghi di vacanza, ma non ti fermi mai a pensare che c'è gente che ci abita tutto l'anno, che vive lì anche d'inverno e cerca di tirare avanti vendendo quei gelati che ormai fa troppo freddo per mangiare o viaggiando di città in città per vendere quei frutti di mare che, senza i turisti a consumarli, finiscono per avanzare. Alcuni potrebbero tentare disperatamente di affinare i loro altri talenti, come la pittura o la poesia, nella speranza che l'anno successivo i guadagni saranno raddoppiati e basteranno ad affrontare il lungo inverno, quando in città non si vede nessuno a parte quei pochissimi visitatori che cercano aria fresca e solitudine.
Un tempo non ti sarebbe mai venuto in mente di ripensare a quella gente di mare che ti lasciavi indietro alla fine della nostra gita o delle vacanze, ma le loro vite proseguivano sempre allo stesso modo. Tu saresti tornato a casa, abbronzato e sfiancatodall’aria salata del mare, alla tua abitazione, la tua famiglia e i tuoi segreti… e proprio come tu ti tenevi strette quelle confidenze che facevi soltanto agli amici più intimi, anche quella gente di mare aveva i suoi segreti. Magari non altrettanto scioccanti o incredibili quanto quelli degli abitanti delle città, ma ne aveva: tenuti nascosti dietro porte chiuse, rinchiusi in posti in cui i vicini non potessero vederli né sentirli, segreti che appartenevano esclusivamente a quei luoghi di mare. Ed è proprio di uno di questi che parla questa storia.
La fantastica Grace
Grace Thomas era impegnata a stirare una pila di tovaglie bianche di cotone quando un rumore forte e le imprecazioni deliranti di qualcuno che si trovava in giardino attirarono la sua attenzione. Posò con attenzione il ferro e avvicinò il naso al vetro freddo della finestra per individuare la fonte di quei suoni e constatò che, come al solito, non era successo niente. O meglio, niente di strano.
Il marito di Grace, Dick, aveva provato a stendere un altro strato di calcestruzzo sul patio, ma aveva perso la presa e il blocco di cemento pesante era rotolato a terra frantumandosi in mille pezzi. Dick non sembrava ferito, ma,a giudicare dall’espressione corrucciata del suo viso, il suo ego doveva aver fatto la stessa fine del blocco di cemento.
«Cretino» borbottò Grace tra sé e sé rimettendosi al lavoro, «Dovrebbero dargli un premio come lavoratore più lento del mondo.»
Si domandò se sarebbe mai stata in grado di servire i pasti lì fuori quando avrebbe fatto bel tempo, ma se Dick procedeva di questo passo l’idea sarebbe stata impossibile da realizzare. Se solo avessi sposato un uomo ricco, pensò Grace: ma l’unico uomo vagamente ricco in città era stato Rhys Pugh, e se n’era andato molti anni prima. Si diede un’occhiata intorno e scrollò le spalle. La maggior parte degli apparecchi della cucina erano in buono stato, nonostante li avessero ereditati dai genitori suoi e di Dick; le pareti avrebbero sicuramente avuto presto bisogno di una mano di pittura, mentre le mattonelle del pavimento luccicavano grazie alle spazzolature rigorose cui le sottoponeva. La sua vita sarebbe potuta essere decisamente peggiore, Grace lo sapeva, ma nei mesi invernali in cui i clienti erano pochi la casa diventava un po’ troppo silenziosa.
I pensieri di Grace erano razionali; l’affetto che provava nei confronti di suo marito non poteva influenzare quei dati di fatto. Erano più di dodici mesi che Dick stava lavorando a quel patio: rastrellava annoiato un po’ di terra, stendeva uno strato, sistemava mille volte lo stesso blocco di cemento e poi aveva bisogno di cinque giorni di riposo prima di ricominciare tutto da capo. Diceva di soffrire di mal di schiena, ma Grace sospettava si trattasse di pigrite acuta. Sua madre l’aveva avvisata che tutti gli uomini ne soffrivano, specialmente quando comparivano dei lavoretti da fare in casa. Ma Dick era sempre affettuoso con lei: le dava tutte le sere un bacio sulla guancia prima di addormentarsi, portava spontaneamente fuori la spazzatura dopo cena e a volte le comprava addirittura una scatola di cioccolatini tutta per lei, giusto per dimostrare che ci teneva, e allora Grace dimenticava ogni suo difetto.
I coniugi Thomas gestivano una pensione che affacciava sul mare. O meglio, Grace la gestiva e Dick raramente si degnava di collaborare. Qualche volta si offriva di aiutarla con il check-out dei clienti e poteva capitare addirittura che riparasse un rubinetto che perdeva o un battiscopa rovinato, ma era la moglie che si occupava giorno dopo giorno di mandare effettivamente avanti l’attività. Grace non lo avrebbe mai ammesso in pubblico, ma amava quella sensazione di controllo totale. La coppia aveva ereditato la struttura dai suoi genitori una decina di anni prima, ed avendo passato tra quelle stanze gran parte della sua vita, a Grace sembrava che prendersene cura fosse piacevole e gratificante. La proprietà si ergeva proprio a pochi passi dalla scogliera; appariva imponente agli occhi dei visitatori che le si avvicinavano, così bianca e austera, con la porta principale abbellita da arbusti di edera. Tre delle finestre della facciata anteriore davano sulla spiaggia sottostante e appartenevano a quelle che Grace definiva le camere migliori, spaziose e immacolate, con comodi letti matrimoniali. Non esisteva albergo migliore in tutta la cittadina e i Thomas ne ricavavano ottime entrate, specialmente nel periodo tra Pasqua e Halloween. Grace si era tuffata in quel lavoro come una paperella nell’acqua. Era un vero peccato che Dick fosse una di quelle papere che preferivano restare fuori dal laghetto; per quanto forte cercasse di sbattere le sue ali invisibili, non riusciva mai a stare al passo con le richieste della moglie. Il fatto che fosse sempre Grace a doversi occupare di tutto era stato la causa di molti litigi, alimentati dall’abitudine diDick di scomparire casualmente ogni volta che il telefono cominciava a squillare. Grace non capiva cosa ci fosse di così complicato nel trascrivere una prenotazione: teneva un libro rilegato in pelle sempre in bella vista sul bancone nell’ingresso e le linee orizzontali e verticali disegnate sulle pagine mostravano chiaramente quali camere fossero occupate e quali libere in qualsiasi giorno dell’anno. Eppure bastava un unico squillo per far fuggire Dick nella direzione opposta a quella del telefono oppure a farlo crollare un sonno tanto profondo quanto finto nel caso in cui si trovasse già seduto sulla sua poltrona. Grace sapeva che Dick non aveva alcun problema a conversare con degli sconosciuti perché aveva sempre qualcosa di cortese o interessante da dire ai loro clienti; aveva persino una calligrafia invidiabile, il che le rendeva ancora più difficile capire cosa potesse esserci di così complicato nell’appuntare alcuni dettagli nell’agenda delle prenotazioni. Forse era solamente spaventato dall’idea di incorrere nella collera di sua moglie nel caso in cui avesse commesso un errore, come aveva fatto una sola volta molti anni prima. Sì, immaginò Grace, doveva essere quello: non gli aveva in effetti rivolto la parola per un’intera settimana dopo che Dick aveva accidentalmente riservato la stessa camera a due coppie diverse. Sicuramente voleva evitare che una cosa del genere potesse accadere di nuovo.
Per quanto riguardava Dick, lui pensava che Grace fosse davvero fantastica, ma col passare degli anni era diventato cieco di fronte alle proprie mancanze e non riusciva a capirla appieno. Per lui quello del patio era un lavoro ancora in corso che richiedeva molto tempo proprio a causa della grande cura che metteva nei dettagli. Alle lunghe ore in cui scompariva, poi, non dava il minimo peso. Ogni mattina si trascinava al piano di sotto per la colazione e poi si preparava ad una lunga passeggiata fino all’edicola per acquistare il quotidiano; Grace aveva stabilito che soltanto i clienti paganti avevano diritto a ricevere il giornale lì alla pensione, e poi a lui piaceva la freschezza mattutina della brezza marina, o così le aveva sempre ripetuto. Una volta tornato, Dick se ne stava spaparanzato nella poltrona più comoda del loro salotto a sfogliare le pagine con comodo per almeno un’ora; poi impiegava un’altra mezz’ora a scegliere il cavallo su cui scommettere quel pomeriggio. Dick Thomas era molto orgoglioso della sua capacità di riconoscere un possibile vincitore, e ancora più orgoglioso del fatto che era sempre riuscito a mantenere quel suo hobby accuratamente nascosto alla moglie: infatti, ogni pomeriggio Grace stilava una lista di cose di cui aveva bisogno e ogni pomeriggio suo marito si recava diligentemente al mercato o all’emporio a comprarle, con una piccola deviazione al centro scommesse.
Di conseguenza, comprensibilmente, dopo essere andato a comprare il giornale, aver letto il giornale, aver fatto colazione e pranzato, aver scelto il cavallo vincente, aver bevuto sei tazze di tè e aver compiuto la sua gitarella quotidiana in paese per le spese, Dick era troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa. A volte avvertiva effettivamente delle fitte nella schiena, scomodo ricordo di una caduta con la motocicletta di molti anni prima, ma non era quello il motivo per cui il lavoro al patio non stava procedendo tanto velocemente quanto avrebbe desiderato sua moglie; semplicemente non era particolarmente portato per quel tipo di attività. Il problema non era scavare: il terreno, infatti, era abbastanza morbido; ma non gli riusciva proprio di capire come fare a stendere le lastre nel modo giusto. Grace gli aveva detto molto chiaramente che pretendeva il patio pronto per l’estate. Quello che non aveva specificato era quale estate.
Grace gettò un altro sguardo fuori dalla finestra. Dick era ancora impalato lì in giardino, adesso con una mano nella tasca dei pantaloni e l’altra ad asciugarsi il sudore della fronte con un fazzoletto enorme, come se stesse aspettando che qualcuno lo raggiungesse per aiutarlo a sistemare quel disastro. Nonostante fossero passati ben vent’anni Grace lo amava ancora, ma le cose erano cambiate terribilmente. Quel ragazzo gentile e raffinato appena tornato dalla guerra, con quel sorriso aperto, i capelli neri pettinati col gel e la motocicletta rossa fiammanteera ormai scomparso: Dick aveva perso quasi tutti i capelli, era ingrassato e perennemente stanco. Non era proprio un amante del lavoro e Grace si domandava continuamente come una persona che faceva così poco movimento potesse passare così tanto tempo a letto o a sonnecchiare sulla poltrona. In ogni caso Dick era gentile con lei e non alzava mai la voce, quindi non aveva cuore di rimproverarlo.
Grace aveva mantenuto il fisico che aveva da giovane, probabilmente anche grazie alle innumerevoli volte che era costretta a correre su e giù per le scale ogni giorno. Aveva anche l’abitudine di concedersi una seduta dal parrucchiere ogni giovedì, giusto in tempo per accogliere al meglio i nuovi ospiti che sarebbero arrivati di venerdì, che fosse per un breve finesettimana al mare o per una vera e propria vacanza. Erano più di dieci anni che portava i capelli nello stesso modo, acconciati con dei morbidi bigodini e fissati con una generosa dose di lacca; a Dick piacevano e lei si era abituata a vedersi così. Grace curava molto il suo aspetto ed era sempre vestita e sistemata di tutto punto. Ogni sera, prima di andare a dormire, sceglieva con attenzione gli abiti che avrebbe indossato il giorno dopo; adorava le gonne svasate e i pantaloni morbidi, che abbinava con camicette a motivi e fiocchi vistosi. Le ragazze molto più giovani di lei, giù in città, stavano cominciando a portare gonne sempre più corte, ma Grace era troppo pudica per adeguarsi alla moda del momento. Era una grande amante del tweed e credeva fermamente che una giacca adeguata potesse far risplendere anche il più sciatto degli abiti. Non che lei avesse molte possibilità di uscire, ovviamente: aveva sempre lenzuola da cambiare, bagni da pulire e pasti da cucinare... ma non avrebbe cambiato la sua vita di una virgola.
Lei e Dick, sfortunatamente, non avevano avuto figli, quindi dovevano farsi bastare l’un l’altro e una ristretta cerchia di amici. A Grace sarebbe piaciuto adottare un bambino, ma per Dick l’opinione della gente giù in città e gli eventuali difetti genetici del nuovo arrivato andavano presi in considerazione più della loro volontà di accogliere un orfano in casa e nel cuore. Di conseguenza il tempo era passato e loro si consideravano ormai troppo in là con l’età per diventare genitori, nonostante avessero entrambi appena passato i quarant’anni. Grace era figlia unica, il che significava che non avrebbe mai nemmeno avuto dei nipotini; dal canto suo, Dick aveva parecchi fratelli che avevano generato e continuavano a generare un gran numero di figli per cui stravedere. Grace aveva comunque i suoi genitori da amare e di cui prendersi cura, anche se da quando erano andati in pensione qualche anno prima avevano passato quasi tutto il loro tempo in viaggio, a visitare palazzi signorili e sale da tè. Si rifiutavano di acquistare un telefono per la casa, che giudicavano inutile perché in fondo vivevano “giusto in fondo alla via”, ma più di una volta Grace aveva affrontato a piedi quel miglio di strada solo per trovare un bigliettino sulla porta della loro nuova villetta che diceva “Siamo usciti” oppure “Torniamo alle sei, siamo dai Neath a giocare a bridge”. Anni prima, durante quelle giornate troppo fredde per avventurarsi lontano da casa, non era raro che Grace li trovasse in cucina a preparare il tè, perfettamente a proprio agio, come se abitassero ancora lì e lei fosse soltanto un’ospite. Grace amava quei momenti, soprattutto quando sua madre portava con sé una torta alla frutta appena sfornata o un budino di pane e burro che avrebbe potuto servire agli ospiti come dessert dopo cena.
Famiglia, amici e vicini erano sempre stati molto gentili coi Thomas, pronti ad ascoltarli nei complicati primi tempi della convivenza e attenti a non sollevare l’argomento figli negli ultimi anni. Grace sperava ancora in un miracolo che le permettesse di concepire in modo naturale, ma con lei sempre impegnata e Dick sempre stanco le occasioni per provarci effettivamente continuavano a diminuire e il tempo passava inesorabile. Dick, inoltre, era sonnambulo: non era rato che Grace si svegliasse nel bel mezzo della notte sola nel letto e lo trovasse seduto in cucina o a lavoricchiare nel suo capanno degli attrezzi, sistemando scaffali invisibili o piante inesistenti. Magari questo era il motivo per cui era sempre stanco durante il giorno, aveva pensato Grace, e quella era la sola ragione per cui non si lamentava con lui quand’era sveglio.
Non avevano più molto in comune, ormai. A Dick piaceva il jazz, mentre Grace si era appassionata alla nuova musica di Elvis Presley… e a dirla tutta, anche al fascino di Elvis Presley; Dick leggeva di rado, Grace invece si rintanava spesso e volentieri nella biblioteca e ne usciva dopo ore intere. In quelle sporadiche giornate invernali in cui si ritrovavano senza ospiti a cui badare o mansioni da svolgere, Dick suggeriva di invitare degli amici per bere e mangiucchiare qualcosa insieme, mentre Grace, annuendo poco convinta,rinunciava tutte le volte a proporre una passeggiata o una cenetta romantica solo per loro in uno dei due ristoranti giù in città, che nei mesi freddi restavano aperti solo per un paio d’ore al giorno.
A volte le sembrava che la vita corresse troppo velocemente, ma Grace era comunque molto contenta di ciò che possedeva. Non invidiava nessuno e non nascondeva segreti, diversamente da molte altre persone che conosceva; i Thomas erano tutt’altro che pettegoli, ma nel corso degli anni passati a dirigere la Pensione Sandybank avevano scoperto molte cose riguardo agli abitanti della loro cittadina. La posizione elevata della struttura, che si ergeva sopra la città, consentiva a Dick e Grace una visione panoramica sugli incontri furtivi che avvenivano in paese; quanto ai segreti invisibili, l’eccentrica parrucchiera del salone di bellezza di Maureen O’Sullivan si era più volte dimostrata l’informatrice perfetta. Grace aspettava impaziente il giovedì più degli altri giorni della settimana: nel salone le signore più pettegole tessevano la loro rete di confidenze quasi come se stessero ricreando la trama di un libro appena letto, e lei poteva godersi il tutto mentre la parrucchiera le coccolava i capelli.
Mentre portava le tovaglie stirate nella sala da pranzo Grace si chiese se poteva permettersi mezz’ora di tempo in compagnia di un buon libro e una tazza di tè prima di preparare la cena per gli ospiti. Era ancora bassa stagione e solo due camere su sei erano occupate, entrambe da signori di una certa età; Grace immaginava che fossero in cerca di aria fresca per fare lunghe passeggiate. La maggior parte delle famiglie che soggiornava in zona preferiva scegliere opzioni di soggiorno più economiche, quindi affittava uno chalet al residence appena fuori città, con pasti ed intrattenimento compresi nel prezzo, oppure trovava una sistemazione nel campeggio in cima alla scogliera e raggiungeva la spiaggia a piedi. Erano dunque quasi solo single e coppie a scegliere di farsi viziare alla Sandybank, attirati dai morbidi materassi di piume e dalle eccellenti doti culinarie di Grace,ma le voci si diffondevanoin fretta e il libro delle prenotazioni era ormai sempre generosamente scarabocchiato. Quella sera non aveva intenzione di cucinare niente di speciale: giusto qualche fetta di prosciutto affumicato accompagnato da uova e patate e, se le fosse avanzato tempo, anche del cavolo bollito. Nonostante il pasto poco elaborato, Grace avrebbe comunque apparecchiato la tavola con posate d’argento brillante, piatti di porcellana e portacondimenti coordinati che aveva orgogliosamente comprato in un grande magazzino in una delle sue rare gite nella città vicina; avrebbe ornato il tutto con dei fiori primaverili appena colti e piegato i tovaglioli a ventaglio: voleva solo il meglio per i suoi ospiti.
Dopo aver controllato che la sala da pranzo fosse perfetta per i suoi due ospiti, Grace sbirciò attraverso il passavivande che separava quella stanza dalla cucina. Ancora nessuna traccia di Dick: probabilmente stava coccolando il suo orgoglio ferito in giardino, pensò. Allungò una mano oltre l’apertura e tastò con attenzione la teiera appoggiata sul piano di lavoro sottostante, trovandola ancora calda. Grace lasciò la sala da pranzo e andò a sedersi al bancone della cucina, poi si sfilò le scarpe per rilassare le dita dei piedi. Scelse un romanzo d’amore dallo scaffale dei libri gallesi e gettò un’occhiata all’orologio di plastica arancione che ticchettava sul muro alle spalle dei fornelli; erano le quattro in punto: aveva un’ora abbondante da dedicare alla lettura prima che i suoi ospiti tornassero dalle loro attività e le chiedessero una tazza di tè, proprio il tempo che le serviva per scoprire se la protagonista, Catherine, sarebbe riuscita a conquistare il suo amato. Dopo poche righe Grace venne risucchiata nel vortice degli appassionati corteggiamenti e degli sfarzosi abiti da ballo dell’epoca vittoriana; era tutto così distante dalla vita che lei conduceva in quella piccola cittadina di mare, in quell’asettico 1964…
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