Il Guardiano del Vento
Il Guardiano del Vento - Estratto del libro
Prologo
Le ombre dei due amanti danzavano goffamente sul muro della camera da letto. Le loro immagini proiettate sembravano giganti, si estendevano fino alla metà del soffitto. Sul comodino vicino al letto c’era una radio sveglia che trasmetteva una classica canzone dei Rolling Stones, Sympathy for the Devil, a tutto volume. E lì, sul letto, accanto a una donna di dieci anni più giovane, era sdraiato Jack Garner. La donna, mettendosi a cavalcioni su di lui, con i palmi che spingevano sul suo petto, mosse i fianchi al ritmo della musica.
Jack si girò e guardò l’orologio.
I numeri digitali blu segnavano le 20.30. sorrise.
C’è tutto il tempo, pensò.
La giovane donna non apprezzò il suo momento di distrazione. Scese giù con le mani, gli girò la testa in modo che guardasse verso di lei, e guardò in basso verso di lui rabbiosamente. Con un unico movimento rotolò su sè stessa e tirò Jack sopra di lei, e con le braccia avvinghiate al suo collo lo spinse giù sul suo corpo nudo. Rotolando di nuovo, tornò di nuovo sopra, cavalcandolo di nuovo, e lo baciò appassionatamente.
Fuori dalla finestra della camera da letto, si stava facendo buio sulla piccola comunità costiera di San Roque. Come ogni altra città di mare della California, aveva le tipiche facciate allineate sul lungomare, conosciuto come Front Street. I caffè, che erano principalmente attivi nei mesi estivi, erano tranquilli ora. Dietro il lungomare c’erano i tetti di molti complessi residenziali, e ancora più lontano c’erano le colline costiere di un verde brillante, che sarebbe diventato presto marrone con l’arrivo del sole estivo.
La Coast Road, che divideva la città, partiva dal ventoso sud e proseguiva attraverso collinette costiere lungo un’insenatura piena di platani.
Verso nord la strada seguiva la costa per altre due miglia fino a un grande promontorio dove le cime delle montagne precipitavano a strapiombo sul mare. Vicino alla fine del promontorio un enorme molo di pietra si allungava nel Pacifico, che creava cavalloni sia sulla spiaggia di San Roque sia nel piccolo porto di San Miguel. Sul ciglio del promontorio c’era un faro del diciannovesimo secolo ancora funzionante, uno dei fari californiani originali. Come aveva fatto per più di centoquindici anni, la sua luce perenne lampeggiava ogni sei secondi mandando il suo fascio di luce attraverso l’oceano, visibile dalle navi distanti fino a dodici miglia.
Sotto il promontorio si stende un’isolata striscia di aspro litorale, uno dei pochi terreni ancora selvaggi rimasto sulla costa centrale della California non di proprietà dell’esercito o dello State Park. Qui, venti miglia di colline verdi e terrazzamenti marini spazzati dal vento erano rimasti praticamente incontaminati dai tempi degli Indiani Chumash. Anche se lo sviluppo urbano si era diffuso tantissimo al sud, specialmente negli ultimi dieci anni, non aveva ancora allungato le sue mani avide su questo posto. Il P.A.P.C. _Pacific Alliance Power Company- se ne era assicurato. Avevano affittato il terreno con una transazione dubbia da un allevatore di bestiame per costruire una centrale atomica, e da allora ne erano diventati proprietari grazie ad illustri poteri. In questo modo, la centrale atomica serviva, ironicamente, ad impedire lo sviluppo di villaggi turistici lungo la costa. Adesso grazie alle leggi federali sullo sconfinamento, nate per proteggere il complesso della centrale nucleare, la zona era diventata, praticamente, una riserva naturale. A parte qualche allevatore di bestiame che faceva pascolare i capi sui pendii occidentali, l’equipaggio di Plant e il personale della sicurezza erano gli unici a poter mettere piede nella Zona Protetta. Attualmente rimaneva un santuario solo per coyote, foche, delfini e qualsiasi altro animale selvaggio avesse sempre proliferato lì.
Da un paio di miglia a sud, una coppia di fari serpeggiava lungo la strada, seguendo le insenature curve del torrente. Il veicolo superò l’ultima lunga curva, con pioppi ai lati, girò su Front Street e girò ancora su Second Street prima di fermarsi nel parcheggio del residence Sea Gypsy. Il conducente scese dal veicolo al suono indistinto della musica che veniva dalla casetta dall’altro lato della strada.
All’interno, le ombre dei due amanti danzavano ancora goffamente sul muro della camera da letto. Jack e la sua compagna erano completamente assorbiti nei loro spasimi d’amore, e continuavano a condividere l’intimità dell’amore fisico. Ecco perché non sentirono quando il Visitatore bussò la prima volta, fino a che non bussò nuovamente.
“Hai sentito?” chiese quindi Jack.
La giovane donna non rispose, ma l’espressione sul suo viso dava una risposta affermativa. Jack si girò e guardò la radio sveglia. I numeri digitali blu ora segnavano le 20:45.
È presto, pensò. Non stava aspettando nessuno. Il suo passaggio non sarebbe dovuto arrivare prima di un’ora.
Bussarono di nuovo.
Si allungò per abbassare il volume della radio.
“C’è qualcuno alla porta,” disse senza tradire nessuna emozione.
Spinse via la donna lontano da lui, si trascinò fuori dal letto, si infilò un paio di pantaloni, e afferrò una camicia azzurra dalla sedia. Mentre barcollava lungo il corridoio, infilandosi la camicia, il bussare si fece più insistente.
“Okay! Okay!”
Sulla veranda il Visitatore aspettava immobile, pazientemente, vestito di tutto punto in un’uniforme blu scuro con scarpe nere lucidissime. Aveva i capelli meticolosamente pettinati all’indietro e sul petto c’era un distintivo dorato che brillava con la luce della strada.
Jack accese la luce della veranda e spalancò la porta, e fu sorpreso nel vedere un viso familiare che non era, però, quello che stava aspettando.
“Che succede?” chiese.
Si girò e guardò l’orologio da tavolo in bella vista sulla scrivania del soggiorno. Contemporaneamente si tirò gli angoli della camicia sopra le spalle. E in quella stessa frazione di secondo, il Visitatore tirò fuori una pistola da dietro la schiena. Il tamburo si sollevò velocemente, contro il petto di Jack, e prima che la testa di Jack avesse il tempo di girarsi, partirono due colpi, attutiti da un silenziatore.
Pooff! Pooff!
Jack cadde all’indietro nel soggiorno, morto prima di raggiungere il pavimento. Entrando, velocemente, il Visitatore andò avanti nella stanza e chiuse la porta dietro di sé, andando verso un tavolino, e accese una lampada. Tolse il silenziatore dalla punta della sua arma da fuoco, lo infilò di nuovo nella tasca posteriore, e mise la pistola nella fondina. Ispezionando la stanza, afferrò un asciugamano da una pila di panni su un divano e lo buttò sopra il viso di Jack. Poi, inginocchiandosi accanto al cadavere di Jack, lo guardò con noncuranza. I due proiettili lo avevano colpito appena sotto lo sterno, a poco meno di un centimetro di distanza l’uno dall’altro. I fori non sanguinavano e sembrava che si stessero già chiudendo, anche se del sangue già stava uscendo dalla schiena di Jack, e il Visitatore lo vedeva colare sul pavimento in parquet.
Il Visitatore cercò nella tasca della camicia di Jack e non trovò niente. Poi lo girò sulla schiena e controllò anche le tasche dei pantaloni. Si guardò intorno, cercando dappertutto; il tavolino, libreria, la vetrina e il divano. Vicino alla porta c’era uno scaffale pieno zeppo di volumi di un’enciclopedia, romanzi e riviste--- non c’era niente che lo interessasse. Sulla televisione c’era il solito ammasso di robaccia, un telecomando e delle custodie di DVD. La poltrona era ugualmente piena di varie cose, panni, qualche rivista e due paia di scarpe da ginnastica. Finalmente i suoi occhi videro uno scrittoio con alzata a scomparsa appoggiato al muro più lontano. Sopra c’era una piccola palma ornamentale, un portachiavi da cui pendeva un assortimento di ciondoli e chiavi.
Si protese verso la scrivania, guardando tra gli oggetti, e prese velocemente dal cavalletto un badge identificativo, a cui era stata agganciata una carta plastificata.
Mise la carta controluce. Era più o meno della grandezza di una classica carta di credito. Sopra c’era il simbolo familiare di tre atomi in movimento, e al lato il nome: Jack Garner. Mettendo la carta ad angolo rispetto alla luce si potevano vedere all’interno diverse strisce metalliche anti contraffazione. Mettendola contro la lampada da tavolo, in modo che fosse completamente illuminata da dietro, si vide un piccolo chip rettangolare intarsiato nell’angolo inferiore destro.
Il Visitatore strinse forte la carta nella mano, e per un attimo rimase semplicemente fermo lì, mentre la stringeva. Sembrava soddisfatto di stare lì, stringendo la carta per tutta la notte.
Poi un rumore inaspettato spostò la sua attenzione verso il corridoio.
Una voce chiamò; era quella di una giovane donna.
“Jack?”
Con gli stessi istinti predatori che aveva mostrato in precedenza, il Visitatore prese la pistola, il tamburo alzato, che puntava verso il corridoio, e aspettò in silenzio.
“Jack?” ripetè la voce, questa volta più vicino.
Con la mano libera, il Visitatore fece scivolare la carta nella tasca della camicia, afferrò la pistola con entrambe le mani e si incamminò lentamente verso l’entrata del corridoio.
Dalla camera da letto, la giovane donna andò nel corridoio, infilandosi un accappatoio. Si fermò a metà percorso per allacciare la cinta intorno alla vita. Ora, alzando la testa, guardò in alto e vide una figura scura ferma alla fine del corridoio.
“Jack, chi è?”
La stanza di fronte era poco illuminata, quindi non riusciva a capire chi fosse, né a vedere la pistola che era all’altezza del suo petto.
“Jack?”
in un primo momento non ci fu risposta. Poi la pistola parlò in modo rumoroso, senza l’ausilio del silenziatore.
BAM! BAM!
Un doppio lampo di luce uscì dal tamburo. La donna fece un balzo all’indietro come se fosse stata colpita da un bastone nel petto, e cadde sul pavimento.
Il Visitatore avanzò lungo il corridoio, tenendo la pistola puntata sulla donna. Poteva sentire un rumore provenire dalla camera da letto. Scavalcò con attenzione la donna, rimanendo per un secondo a cavalcioni, guardando in basso verso il suo volto senza vita, poi, facendo ruotare il tamburo della pistola, entrò in camera da letto. Il mirino fisso sulla radio sveglia, come se fosse pronto a sparare. Realizzando che si trattava solo di una radio, girò velocemente il tamburo verso l’altro lato della stanza. Era pulita. Poi fece un passo indietro con calma, mise la pistola nella fondina, andò verso la radio e la spense.
Alla finestra, guardò fuori per un attimo. Ora era completamente buio fuori. C’erano solo due lampioni, un lotto di terreno vuoto e, dall’altro lato della strada, non c’erano molte luci accese negli appartamenti Sea Gypsy. A parte per il neon lampeggiante con una zingara che teneva in mano una stella marina, e la scritta “libero” che lampeggiava, c’erano pochi segni di vita. Guardò in basso sulla strada. La strada era essenzialmente vuota. Chiuse completamente le tende.
Tirò fuori la carta dalla sua tasca e la guardò ancora una volta. Non era diversa da una tessera magnetica di un albergo ma, in verità, sapeva che era abbastanza diversa. All’interno c’erano tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Ne era sicuro.
La mise al sicuro nel suo portafogli, in un comparto laterale. Poi uscì dalla camera da letto, passò sopra la donna senza vita e ritornò alla porta d’ingresso. Spense la lampada e anche la luce della veranda,e uscì dalla piccola casa chiudendo la porta dietro di sé.
Capitolo 1
Cameron Taylor guardòsilenziosamente l’immagine nello specchio rotto.
Solo ventotto anni e già bruciato fino all’osso!
Per lui,svegliarsi alle 20.30 con una sveglia era solo l’inizio di una nuova nottata di lavoro. Incastrato a fare il turno di notte alla centrale nucleare di Mal Loma per gli ultimi otto mesi, stava ancora cercando di adattarsi a questo orario capovolto. Aver risposto ad un annuncio su un giornale che assumeva “Soccorritori Armati” per proteggere una centrale nucleare “da atti di terrorismo e di sabotaggio industriale”, l’aveva inizialmente entusiasmato all’idea del nuovo lavoro. Ma la posizione si rivelò essere una noiosa routine di basilari procedure di sicurezza e di ore ed ore passate a marciare con un mitra sull’asfalto. La verità era che fare la guardia ad una centrale nucleare in caso di “atti di sabotaggio” non era quello che sembrava, né quello che si aspettava.
Fissò lo specchio, nudo tranne che per un paio di boxer bianchi.
Nulla era cambiato, pensò.
Il piccolo orologio richiudibile poggiato sulla mensola vicino all’armadietto dei medicinali segnava le 21.20. Dietro c’era il dentifricio, ancora senza tappo, esattamente nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato la sera precedente. Sulla mensola accanto c’era il suo badge, buttato a faccia in giù senza alcuna cura.
Qui comincia il mio mondo al contrario, pensò. Mentre il mondo “reale” dorme, io mi infilo la mia armatura.
Sin dall’inizio il suo corpo aveva rifiutato il cambio di orario. Aveva provato ad eliminare la caffeina, aveva preso Ambien ma senza risultato. Aveva anche comprato un CD di yoga pensando che il suono rilassante delle onde avrebbe potuto aiutarlo ad addormentarsi. Per alcuni era facile. Sembrava che per Cameron adattarsi a lavorare di notte fosse quasi impossibile.
Si allungò e aprì il rubinetto della doccia, e poi entrò con un milione di pensieri che gli si affollavano in testa, nessuno dei quali era positivo. In meno di cinque minuti era completamente vestito davanti allo specchio, con i capelli pettinati all’indietro. Indossava un’uniforme blu scuro. Sulla spalla c’era un distintivo significativo - l’insegna di tre atomi in movimento in un’orbita antioraria. Sul bordo in alto c’era la parola “Nucleare”, e nella parte inferiore le parole, incurvate, “Servizio di Sicurezza.”
Prese il suo badge e lo mise in contro luce. Non immaginava mai che sarebbe diventata una routine.
Tutto era cominciato in modo piuttosto ambizioso otto mesi prima. Entusiasta all’idea del suo nuovo lavoro, Cameron era entusiasta di aver passato il colloquio iniziale. Affrontò la sfida della prova di agilità fisica come uno studente sulla pista da corsa.
I requisiti richiedevano di fare i quattrocento metri in meno di settantacinque secondi, di dover trascinare un sacco pieno di sabbia, pesante settanta chili, sull’asfalto, e di scalare un muro alto tre metri con un mitra giocattolo sulle spalle, e lui superò tutte le prove abbastanza facilmente. Poi fu la volta del nullaosta di sicurezza e del controllo sui suoi precedenti, che gettarono un po’ di luce sul tipo di posizione lavorativa. Volevano sapere ogni dettaglio del suo passato, anche quale scuola elementare aveva frequentato.
Sono veramente seri al riguardo, Cameron ricordò di aver pensato.
Poi gli avevano preso le impronte digitali- un controllo digitale LiveScan di tutte e dieci le impronte che aveva il database direttamente nella sede FBI di Washington DC, e poi nell’ufficio del Dipartimento di Giustizia di Sacramento, svelando che Cameron era pulito eccetto che per qualche violazione del limite di velocità. A questo era seguito un questionario sul suo passato di diciotto pagine, confermato da un test poligrafico e scannerizzato nel N.O.R.A.- Non-Obvious-Relationship-Awareness ( Conoscenza di relazioni non ovvie, n.d.t.) un software di “ultima generazione” che, incrociando informazioni, era in grado di trovare legami tra membri di cellule terroristiche e gruppi criminali in più di settantacinque nazioni. Infine c’era il MMPI – L’inventario multifasico di personalità del Minnesota, che lo aveva valutato, analizzato e aveva concluso la valutazione con un colloquio pre assunzione con un consulente psicologo.
Era un tipo dall’aspetto strano, aveva pensato Cameron, pelato con gli occhiali, l’immagine perfetta dello scienziato. Cameron aveva subodorato che ci sarebbero stati problemi quando gli era stato dato il risultato del suo MMPI. La prima frase diceva:
Quando hai fatto questo test hai mentito per sembrare migliore agli occhi del tuo possibile datore di lavoro.
“E’ vero?”chiese lo psicologo andando dritto al punto.
Cameron esitò. Ne sapeva abbastanza del MMPI da pensarci due volte prima di fingere. Aveva cercato informazioni in anticipo. Si diceva che il test era in grado di identificare un alcolizzato con un’accuratezza del novantasette per cento e di individuare i sintomi principali di un disagio sociale e personale con un’accuratezza quasi profetica, ed era il principale strumento di selezione usato dai datori di lavoro sui candidati a posizioni di pubblica sicurezza ad alto rischio.
“Certo che è vero,” replicò, fissando la stampata del computer. “Mi serve un lavoro.”
Lo psicologo annuì e scribacchiò sul suo taccuino.
“Va bene, quindi,” disse lo psicologo. “Prossima domanda: se potessi essere una persona qualsiasi nel mondo a parte te stesso, chi sceglieresti?”
Cameron dovette pensarci per un attimo. Francamente, era un po’ strano che venisse fatta questa domanda da uno psicologo. La prima cosa che gli venne in mente fu quanto i terapisti fossero più matti dei loro clienti. E a parte questo, cosa c’entrava con il lavoro in una centrale nucleare?
Dopo averci pensato un po’, pensò che era meglio rispondere. Dopo tutto poteva avere un peso nella valutazione.
“Bugs Bunny,” replicò.
“Bugs Bunny?” chiese lo psicologo, rimuginandoci sopra come uno scienziato che riflette su una nuova equazione matematica. “Questa è una risposta interessante. Non l’ho mai ricevuta prima.” Scribacchiò alcune frasi sul suo taccuino.
Cameron aveva un’aria preoccupata. Non stava cercando di essere divertente. Era una risposta sincera.
“E perché Bugs Bunny?” chiese lo psicologo.
Cameron diede un’occhiata ai pannelli del soffitto, con aria pensierosa. “Bè, ammiro veramente quel coniglietto furbo. Sembra che non importa quanto le cose vadano male, non importa quanto sia grave la situazione, voglio dire, lei sa quanto si accaniscono contro di lui, e lui trova sempre il modo di uscirne con un aspetto perfetto e in ordine.”
Lo psicologo ricambiò lo sguardo, sembrava affascinato, e scrisse furiosamente sul suo taccuino.
Cameron pensò di essere spacciato.
Nonostante sembrasse che il colloquio psicologico fosse andato male, due settimane dopo ricevette una busta sottile tra la sua posta, su cui sembrava che l’indirizzo a cui riinviarla in caso di mancata consegna fosse la Casella Postale di San Roque per la centrale nucleare di Mal Loma. Dentro c’era una lettera di cinque paragrafi che gli dava il benvenuto nell’ “Elite security Force”, gli faceva le congratulazioni per essere stato selezionato, e poi c’era una riga in cui gli si richiedeva di presentarsi alle 8.00 per il training il successivo martedì mattina, e di arrivare in quello che veniva descritto come “un appropriato abbigliamento per un civile.”
Cameron era entusiasta. Dopo essere stato disoccupato per sei mesi, aver cercato un lavoro con un curriculum non certo di rilievo, pieno di periodi in cui non aveva lavorato, e con un conto in banca quasi in rosso, era contento di aver trovato di nuovo un lavoro.
Ora guardò la sua immagine riflessa nello specchio, pensando che fosse tutto inutile. C’era un’estasi che caratterizza il momento più alto della vita, oltre la quale la vita non può andare. Sembrava che l’estasi di Cameron fosse arrivata e passata quando aveva ventotto anni. A parte il procione che ogni tanto vagava dentro il perimetro delineato dalla staccionata facendo suonare l’allarme, la verità era che non c’era nessun tipo di azione. Non trovò né l’intrigo né la complessità promessi dall’annuncio di ricerca di personale. Notte dopo notte, andava a lavorare con la stessa noia di sempre. Era un lavoro senza futuro, pieno di regole e norme burocratiche che, nella migliore delle ipotesi, sembravano assurde, con a capo un gruppo di dirigenti seduti in un ufficio in un grattacielo di San Francisco. Essendo ottimista, affascinato dalla natura e divertito dalla gente, era decisamente segnato dalla monotonia del suo lavoro.
Stare in piedi per ore sotto la pioggia con un mitra in una mano; fissare uno schermo di una telecamera di sorveglianza con la stessa immagine fissa; fare sempre le stesse operazioni che non solo non hanno senso ma non saranno mai utili; fissare un orologio sperando che il tempo passi. Questo è tutto quello che ci si deve aspettare dalla vita?
La sua immagine riflessa alzò un sopracciglio con aria dubbiosa.
Un vigilante che fa il turno di notte, pensò, addrizzandosi la cravatta. Parliamoci chiaro, questo è ciò che sono.
L’unico raggio di luce nella sua altrimenti triste esistenza era Grace Baker, una nuova assunta alla centrale nucleare che aveva ventisei anni, con cui Cameron aveva cominciato un flirt che si era evoluto rapidamente. L’attrazione era stata immediata e reciproca. In sole tre settimane, i due avevano scoperto un affetto l’uno per l’altra che ricordava quello dei vecchi film romantici di Hollywood. In Grace, Cameron vedeva una bellezza naturale e aggressiva, quella per cui gli uomini sono disposti a traversare l’oceano. E ora Cameron si trovava a pensare più spesso a Grace che alla prospettiva di cercare un altro lavoro, cosa che aveva preso in considerazione fino al momento in cui Grace era entrata nella sua vita.
Grace! Grace! Grace!
Fece un respiro profondo. È il momento di difendere le masse.
Dopo un’ultima occhiata allo specchio, si appuntò il badge sul petto, si girò e andò in cucina per farsi un panino, riempire il thermos con del caffè bollente, metterli entrambi nel suo portapranzo, e impilarci sopra un pacchetto di patatine. Poi prese le chiavi della macchina e si diresse verso la porta.
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